Tesi di laurea
ASPETTI GEOMORFOLOGICI, AMBIENTALI E STORICI

DELLA PIANA ALLUVIONALE DEL FIUME CESANO
IN RELAZIONE AL RITROVAMENTO DELLA FORESTA FOSSILE

Frontespizio
Premessa
Aspetti geografici
Iquadramento geologico
Tettonica
Serie statigrafica
Inquadramento geomorfologico
Elaborazione dati
      La carta geomorfologica della piana del fiume Cesano
      Le sezioni trasversali del fiume Cesano
      Il profilo longitudinale del fiume Cesano
Inquadramento storico
       Presentazione storico-archeologica
      Aspetti preistorici
      Paleolitico
            • Paleolitico inferiore
            • Paleolitico medio
            • Paleolitico superiore
      Mesolitico
      Neolitico
      Età del rame o Eneolitico
      Età del Bronzo
      Età del ferro
Scheda sul mousteriano o musteriano
Scheda sull'Homo Sapiens Neanderthalensis
Distribuzione del popolamento nella valle del Cesano
La Foresta Fossile della Valle del Cesano
      Introduzione
      Ricerca dati
      Descrizione percorso
Osservazioni conclusive
Bibliografia
 AdattamentoWEB Ing. David Guanciarossa

SERIE STRATIGRAFICA

Le successioni stratigrafiche che si riscontrano nell’area rilevata risalgono al Miocene, al Pliocene e al Quaternario.

Il Bisciaro segna l’inizio della sedimentazione miocenica, caratterizzata da litofacies prevalentemente terrigene. Tale formazione è costituita da calcari scuri, da calcari marnosi biancastri, da marne calcaree e marne argillose grigie variamente alternate tra loro. Gli affioramenti del Bisciaro sono resi piuttosto evidenti dal particolare risalto morfologico cui danno luogo per erosione differenziata i suoi sedimenti marnoso-calcarei, interposti tra quelli prevalentemente marnoso-argillosi della Scaglia Cinerea e dello Schlier.

Superiormente al Bisciaro troviamo una formazione nota con il nome di Schlier, costituita quasi esclusivamente da marne argilloso-siltose grigie, da argille marnose e da sottili intercalazioni di sedimenti più calcarei, di colore chiaro. L’età è circa Tortoniana.

Dallo Schlier si passa alla Marnoso-Arenacea costituita da depositi torbiditici arenacei e marnosi: le arenarie sono di colore giallastro a granulometria gradata, mentre le marne sono di colore grigio-azzurro. L’età è compresa tra il Tortoniano ed il Messiniano inferiore.

La formazione della Marnoso-Arenacea, nell’area rilevata, è in eteropia di facies con le Arenarie e Marne di Serraspinosa, unità, queste con caratteri torbiditici microscopicamente distinguibili da quelli della formazione della Marnoso-Arenacea, e costituite dall’alternanza d’arenarie e marne siltose. Questa formazione mostra di rado un’evidente gradazione, poiché la granulometria è piuttosto uniforme, medio-fine. I sedimenti pelitici, intercalati agli strati arenacei, sono rappresentati da marne e da marne argilloso-siltose scure, bioturbate, e da marne argillose grigio-verdoline. L’età è compresa tra il Serravalliano e la parte sommitale del Tortoniano, arriva al Messiniano inferiore.

Successivamente alla precedente formazione troviamo la Gessoso-Solfifera; con la deposizione di questa unità si ha un nuovo grande cambiamento nelle condizioni ambientali del bacino marchigiano: infatti all’ambiente marino pelagico, relativamente profondo, succede un ambiente a circolazione piuttosto ristretta. Questa formazione è costituita dall’alternanza di diversi litotipi rappresentati da: marne e marne argillo-siltose, spesso bituminose; calcari solfiferi di colore grigio scuro; gessi policromi; gessareniti e arenarie gessose; arenarie fini e siltiti di colore giallastro o bruno. L’età di questa formazione è fatta risalire al Messiniano.

La Gessoso–Solfifera passa verso l’alto a sedimenti prevalentemente argillosi ed argillo-siltosi, di colore grigio-cenere in cui sono intercalati rari e sottili strati di calcari dovuti a deposito chimico (evaporitico) di colore chiaro, (i Colombacci) livelli d’argille siltose nerastre e di siltiti brunastre.

E’ la formazione delle Argille a Colombacci: tale unità dà luogo ad una morfologia irregolare e franosa, in cui assumono particolare risalto i partimenti calcarei più biancastri. Il possibile ambiente di formazione è sempre un bacino ristretto, in cui si è avuta in più fasi la ripresa dell’attività evaporitica, proprio com’è documentato dalla deposizione di calcare evaporitico (i Colombacci). L’età è riferibile al Messiniano. All’interno delle Argille a Colombacci si è notata una facies arenacea. Lo sviluppo di tale unità non è però continuo e dal punto di vista litologico non si ha nessuna differenza con la precedente.

Alla fine del Messiniano si passa con gradualità ed in concordanza ad una nuova unità formata da argille ed argille siltose, massive e plastiche: le Argille di San Pietro d’età Pliocene inferiore. Spesso tali argille danno luogo ad una morfologia calanchiforme.

Le Arenarie di Nidastore, che si trovano superiormente alle precedenti Argille, sono arenarie giallastre poco cementate, alternate a livelli argillosi e marnosi. In questa formazione, attribuibile alla parte superiore del Pliocene inferiore, si rinvengono abbondanti fossili ben conservati: molluschi (gasteropodi, lamellibranchi, scafopodi), celenterati, ciottolami perforati da litofagi, resti vegetali carboniosi tra cui anche pigne e semi di vertebrati (Fig. 6).

Dalle Arenarie di Nidastore si passa alle Argille di Ripalta: trattasi di argille siltose bluastre che si sviluppano per uno spessore di 200-300 metri. A questi sedimenti pelitici, che contengono resti di molluschi, s’intercalano rari e sottili livelli di siltiti grigiastre con abbondanti frustoli carboniosi e lenti di ciottolami incoerenti. Anche questa formazione dà luogo ad una morfologia calanchiva. L’età, stabilita in base al contenuto microfaunistico, è riferibile alla parte alta del Pliocene inferiore-medio.

Sopra alle Argille di Ripalta si trovano le Sabbie di Castelleone di Suasa, sabbie giallastre poco cementate, con rare e sottili intercalazioni argillose, attribuibili al Pliocene inferiore. Il contatto tra le due formazioni è segnato da uno strato calcareo caratterizzato da resti di molluschi. Sopra alle formazioni plioceniche si trovano i depositi alluvionali del Quaternario.

La valle è interessata da estesi terrazzamenti, suddivisibili in vari ordini sia principali che minori, che testimoniano ripetute fasi di alluvionamento, erosione laterale ed incisione. La genesi dei principali terrazzi marchigiani è legata al sollevamento tettonico generalizzato delle aree emerse e delle componenti minori di sollevamento differenziato alle variazioni climatiche e, verso costa, alle oscillazioni eustatiche (NESCI e SAVELLI, 1991b). Anche nel fiume Cesano, come in tutti i fiumi marchigiani, si riconoscono quattro ordini di terrazzi principali, dal più elevato (T1a) al più basso (T3), rispetto all’alveo attuale (NESCI e SAVELLI, 1991b; NESCI et alii, 1992). Al di sotto di questi, incisi nella grande piana glaciale del terzo ordine si riconoscono terrazzi minori olocenici separati tra loro da scarpate di erosione.

Molti autori hanno effettuato indagini sulle piane alluvionali delle Marche settentrionali, riconoscendo terrazzi di vari ordini, classificandoli in modo diverso.

Le ricerche geologiche e geomorfologiche di Nesci e Savelli (1986, 1990, 1991a, 1991b) sui depositi alluvionali dei tratti vallivi mediani nelle Marche settentrionali hanno individuato quattro ordini di terrazzi (T1a, T1b, T2, T3). I suddetti eventi sono stati suddivisi a loro volta in due emicicli: emiciclo deposizionale ed emiciclo erosivo. Il primo corrisponde a fasi di acme glaciale, in cui il tasso di sedimentazione supera il ritmo di sollevamento tettonico. Il secondo invece indica una fase di reincisione dei depositi precedenti e una fase di escavazione del substrato (rispettivamente fase R e fase E). Tali fasi s’innescano durante i maggiori interglaciali e, in parte, durante le fasi finali ed iniziali dei principali periodi glaciali. Secondo tale interpretazione, il controllo climatico, durante gli emicicli deposizionali, avrebbe il predominio sul controllo tettonico.

Invece Lipparini (1939), nel suo studio sui terrazzi dei fiumi marchigiani, cercò di determinare i rapporti tra le fasi del glacialismo quaternario ed i meccanismi che provocano il terrazzamento dei fondi vallivi. Dai dati che raccolse, egli riconobbe tre ordini di terrazzamento generati da un’evoluzione morfologica ciclica. Egli ritenne che le scarpate, che separano i vari ordini di terrazzi, furono determinate da riprese erosive dovute a movimenti eustatici negativi; l’alluvionamento dei fondi vallivi sarebbe invece legato all’innalzamento del livello di base. In tal modo l’autore attribuì l’incisione dei tre terrazzi ai glaciali Mindel, Riss e Würm, assegnando a cause climatiche ed alle loro conseguenti ripercussioni sul regime fluviale un’importanza primaria nei confronti dei movimenti eustatici.

Nel suo rapporto Villa (1943) affrontò lo stesso problema sul fiume, precedentemente analizzato da Lipparini. Egli dopo aver studiato il profilo longitudinale dello stesso fiume, arrivò alla conclusione riconoscendo quattro ordini diversi di terrazzamenti. Secondo Villa, il quarto ordine del terrazzamento indica quello inferiore che limita le alluvioni dell’attuale fondovalle. Villa mise in relazione l’alluvionamento delle valli con i principali interglaciali (durante i quali si verificano innalzamenti del livello di base) e riferì invece l’incisione dei terrazzi alle tre maggiori fasi glaciali (Mindel, Riss e Würm) come riportò Lipparini precedentemente.

L’attribuzione della sommità deposizionale del terrazzo di terzo ordine alla fine del Pleistocene superiore (Alessio et alii, 1979; Nesci e Savelli, 1986) costituisce un ottimo termine di riferimento per la morfogenesi olocenica. Questo terrazzo è infatti uno dei più estesi e meglio preservati delle valli nord-marchigiane. All’interno di questa unità si osservano i cosiddetti terrazzi “minori”, così denominati in quanto non paragonabili, per caratteri geomorfologici, litostratigrafici e sedimentologici, a quelli dei grandi cicli continentali quaternari (T1a-T1b-T2-T3- di Nesci et alii, 1990). Molto spesso tali terrazzi sembrano non essere correlabili con particolari eventi, localmente essi risultano essere non appaiati e diacroni. La ricerca in esame ha dimostrato che è possibile correlare a più di un evento climatico la formazione di questi terrazzi. Lo stesso Villa attribuì l’incisione di quello che chiama “quarto terrazzo” alle oscillazioni attuali post-flandriane. Per le aree più interne prese in considerazione, anche i movimenti di sollevamento tettonico, per spiegare le notevoli altezze sul fondovalle di alcuni depositi alluvionali. Nell’Olocene, inseguito alla diminuzione del carico solido conseguente la progressiva riforestazione dei versanti, iniziano processi di approfondimento che condurranno all’attuale posizione dell’alveo. Dato il limitato apporto detritico dai versanti, durante l’Olocene antico, è verosimile che il carico solido derivi prevalentemente dalla rielaborazione dei materiali alluvionali più antichi.