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Scheda
: 01.08.2005
: 12.09.2006

Sopra la madia erano appesi setacci di varie dimensioni e con rete di diverse misure: quelli più piccoli servivano per setacciare la farina di granoturco o di fave; quelli più grandi ("stac") per separare la farina dalla crusca.

Il setaccio veniva fatto scivolare avanti e indietro sul tagliere ("panara") che copriva la madia vera e propria: una vasca di legno grande e profonda.

La farina veniva versata in questa vasca in un mucchio che poi veniva aperto al centro per versarvi il fermento, costituito dalla pasta inacidita dell'infornata precedente conservato entro un piatto, sciolto accuratamente in acqua tiepida.

Il fermento veniva poi ricoperto con una parte della farina del mucchio e lasciato a riposare per la notte. Al mattino la fermentazione aveva prodotto crepe sulla superficie del cratere; si poteva procedere a impastare il tutto entro la madia.

Poi la pasta veniva trasferita sulla panara e veniva dimenata e schiacciata coi pugni fino a prendere la forma di un grosso filone.

Terminata l'impastatura, il filone veniva tagliato in parti di uguale dimensione, ciascuna delle quali veniva ancora dimenata fino ad assumere la forma di un filone da circa un chilo di pane.

I filoni di pasta venivano disposti in file ordinate sopra una tavola coperta da un telo pulito e poi coperti con un secondo telo e lasciati a fermentare (nella stagione fredda la tavola era coperta con una coperta di lana e tenuta vicino al fuoco).

Man mano che la fermentazione procedeva, le pagnotte si schiacciavano: l' infornatura doveva avvenire al giusto punto di fermentazione per evitare che le pagnotte restassero compatte (scarsa fermentazione) o formassero bolle o "boj" scure sulla crosta (eccessiva fermentazione).

Celso Mei

Il forno a legna cuoce e dona ai cibi un concentrato di profumi e sapori gustosissimi. Purtroppo i forni a legna oggi sono rarissimi. Una volta le case coloniche avevano tutte il forno a legna.

Passando per la via dove funzionava il forno a legna, all’ora dello sforno, si sentiva la vera, originale fragranza del pane caldo: un profumo, una sensazione corroborante e stimolante perduti, che non possiamo gustare più.

Anni fa il pane si faceva in casa. Alla sera, la donna, di rado l’uomo, setacciava la farina per separare il fiore dalla crusca e poi ne collocava nella madia (“matra”) la quantità necessaria per ottenere il pane per una settimana. Al centro poneva il lievito e tracciava un segno di croce. Alla mattina di buonora, prima di andare al consueto lavoro, impastava la farina, confezionava filetti di pane in forme diverse e, postili su una tavola, li portava al forno pubblico.

Il mestiere di fornaio era e rimane un’arte e una tecnica. Il fornaio possiede una speciale sensibilità.

Egli conosce quale e quanta legna deve usare per riscaldare il forno; l’intensità della fiamma, la durata del fuoco, il colore che assume il forno prima di introdurvi il pane o altri cibi per la cottura.

Ogni fornaio ha il suo sistema, ma non tutti riescono ad ottenere la giusta cottura dei cibi.

Il pane che si estraeva dal forno a legna emanava il profumo dall’effetto di ottimo naturale stimolante per l’appetito. Mordendo e masticando quel pane anche i denti si conservavano sani.

Il setaccio

La “stacia” è un piccolo vaglio di tessuto in seta o di sottile e fitta rete metallica. Quello di seta serve, o meglio serviva, per setacciare la farina uscita dalla macina del mulino, per coglierne il fiore, che veniva usato solo per la pasta e, nelle solennità maggiori (Pasqua e Natale) per confezionare i dolci .
Setacciando la farina con la “stacia” meno fitta si coglievano fiore e cruschello (“ramgiol”) che usavano per confezionare il pane.
Una “stacia” più rada si usava per setacciare la farina di granturco con la quale si facevano pane, crescia e polenta.
La crusca “semola” della farina di grano e di granoturco era ottimo mangime per i polli e altro bestiame. La setacciatura si faceva sulla tavola della madia ; la farina con l’andirivieni del setaccio cadeva all’interno della madia dove poi la massaia la impastava (“intrideva”) con acqua, sale e lievito; con tale impasto maneggiato a lungo (“smenat”) confezionava il pane.
La “stacia” dopo l’uso veniva appesa a un chiodo fisso al muro di una parete, vicino agli altri utensili di cucina. Il setaccino, “el stacin”, si teneva dentro la “stacia” o all’interno della “matra”.










Setacci.
Luciano Poggiani

L’atto dello sfornare il pane da parte della signora Barbadoro– Comune di Fossombrone, Località San Martino del Piano n° 62, Vocabolo Molino Nuovo.
Emilio Pierucci