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Scheda
: 29.07.2005
: 25.09.2006

Della vendemmia ricordo un particolare che riguarda le cosiddette regalie (obbligatorie) che i mezzadri erano uso fare al padrone. La prassi, infatti, voleva che per quello straordinario omaggio si scegliessero i migliori grappoli d'uva ben disposti in apposite cassette da consegnare al padrone o, in sua assenza, al fattore.

Le regalie si effettuavano in più periodi dell'anno e coincidevano con i prodotti di stagione e le festività religiose. Al padrone veniva mediamente dato oltre la metà del ricavato dei seminativi, dei frutti e del bestiame, verdure, fagioli e pomodori, la pacca del maiale, un paio di galline a carnevale, cinque uova al mese, un paio di pollastre a ferragosto, un paio di capponi e un dindo a Natale, e poi ancora a Pasqua, capodanno ecc.

La vendemmia rappresentava un altro importante impegno di lavoro per tutta la famiglia contadina. Essa era preceduta da una serie di lavorazioni nel terreno e nella vite: rimozione con la vanga delle erbacce dal terreno e delle graminacee dai filari; rinnovo delle canne a sostegno della vite; potatura; legatura delle cime con il "vénch"; trattamento di zolfo spruzzato con il "sofiétt" (soffietto per solforare le viti; nell'accento si nota l'influenza del vicino dialetto pesarese); trattamento "d' vèrdram" con l'apposita pompa "p' l' vit" (pompa per spruzzare l'acqua ramata sulle viti). Un'altra serie di preparativi riguardava invece la predisposizione degli attrezzi per la raccolta delle uve: forbici, canestri di canna e "vénch", cassette per depositare le uve raccolte, carrette, biroccio e buoi per il trasporto.

LA CANTINA

In cantina entrava soltanto il cantiniere che spesso coincideva con la figura del capoccia. Le cantine erano ubicate in luoghi freschi e bui, alcune somigliavano a delle grotte. Spesso vi erano parti del suolo sprovviste di pavimentazione anche se erano sempre ben in ordine e pulite. Prima dell'arrivo dell'elettricità, quando era molto buio, vi si accedeva soltanto con la "céntilèna" (lampada ad acetilene).

Il cantiniere aveva il compito di controllare e provvedere all'occorrenza ed a tutto ciò che riguardava la cantina: rimozione del "tàrs" (tartaro) o della feccia all'inteno delle botti, stabilità delle doghe, pulizia e sistemazione della "pistatrice" (pigiatrice), dei mastelli, dei barili, dei "bigonzi" e "bigonzìn" (secchi per il travaso del mosto o del vino), degli usciòli (sportelli delle botti) con i relativi spinelli di canna o di metallo, dei tappi di sughero o di legno sigillati con la "sogna" (grasso sottocutaneo di maiale simile allo strutto). Occorreva inoltre disporre di altri strumenti tra cui il torchio per pigiare i raspi, il "tinàcc", il tinello e il tino per pigiare l'uva con i piedi e ricavarne il mosto da vinificare, e un altro tino per la fermentazione del vino, la "pétria" (imbuto) grande e la "pétria" piccola.

Seguivano tutte le varie fasi della vinificazione che proseguivano fino a gennaio inoltrato. Solo recentemente si è introdotta "la moda" di svinare (travasare il vino) a San Martino (11 novembre), ora anticipata al sei novembre con i "vini novelli". All'epoca, però, non si svinava prima di dicembre, e ciò avveniva soltanto dopo la fermentazione dell'anidride carbonica. Non si svinava nemmeno se fuori soffiava il "garbìn" (Libeccio), perché altrimenti il vino si sarebbe mosso. Si sosteneva che "svinare col garbìn guasta el vin". Oggi invece prevale il detto: "a San Martin lascia l'acqua e inizia il vin". Se i vini rossi risultavano poco coloriti, per aumentarne la tonalità si usava una varietà d'uva chiamata clinto; se invece risultavano deboli nella gradazione si usava la grana (concentrato di uva) e non i vari zuccheri come oggi usano in tanti.

E quanto era buono il mosto dell'uva appena pigiata o i "sciùghi" (dolce con sugo d'uva) con la farina di mais !