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Scheda
: 29.07.2005
: 23.09.2006

I pagliai erano di varie forme e di vari tipi: c'era quello "d' fién", "d' stràm" (erba lasciata crescere fra le stoppie e falciata insieme a queste), "d' mìstig" (misto di paglia e fieno), "d' pùla" e ovviamente "d' pàja".

L'ombra che il pajàr faceva a terra dipendeva ovviamente dalla sua ampiezza, dalla sua circonferenza e dalla sua altezza. In alcuni casi le paglie o i foraggi di fieno si alzavano attorno al "mutùl" o "metùll" che era un palo ricavato da un resistente tronco di legno il quale veniva ben posizionato nel suolo e raggiungeva un'altezza di otto metri circa. Per proteggere dal vento e dalle intemperie un così ampio cumulo di paglie si facevano scendere dall'alto verso il basso dei lunghi fili di "spràngh" (filo di ferro) con appesi dei mattoni o delle pietre.

Era proprio il pajaro più grande quello più conteso dai contadini e dai loro aiutanti, quando d'estate, subito dopo il pranzo di mezzogiorno, si coricavano per schiacciare un pisolino o fare un "palùgin", cioè dormire per qualche minuto. I contadini si sdraiavano nel suolo erboso a ridosso del pàjar coperti da una giacca o da una camicia. Ciò accadeva prevalentemente durante la mietitura o nei mesi estivi, quando "ballava la vèccbia a fil di terra", ovvero quando il sole bruciava inesorabilmente la pelle sudata e il caldo e l'afa erano soffocanti. Anche le donne approfittavano di quella pausa per appisolarsi sedute attorno al tavolo con le braccia incrociate e la testa appoggiata sopra di esse.

La pausa durava esattamente il tempo che il sole impiegava per riaffacciarsi dall'altra parte del pajàr, un'ora circa. L'esperienza aveva indotto i più accorti a sfruttare al massimo tale opportunità; infatti chi voleva approfittarne si coricava all'ombra del pajàr proteggendo soltanto la testa e lasciando gran parte del restante corpo esposto al sole. Con questo sistema si "soffriva" un po' di calore iniziale ma si guadagnava qualche minuto di sonno in più mentre il sole effettuava il suo percorso.