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Scheda
: 29.07.2005
: 23.09.2006

Escluse le principali feste riconosciute, cioè il Santo Natale e la Santa Pasqua, la festa del Patrono, i battesimi, le cresime o qualche matrimonio, l'appuntamento più importante della famiglia contadina, per quel che riguardava la somministrazione dei pasti, era rappresentato dalla mietitura e dalla battitura del grano. Per tutti i restanti giorni, ed erano tantissimi, la cucina dei contadini era molto povera, si basava prevalentemente sulle minestre, sulla "pulenta", sui "brufadei" e il pancotto.

Spesso si mangiavano i "cutanèi" o le "créss tajat" (sfoglia tagliata a quadrelloni, fatta con la farina di grano, di granturco e di fave condite con il lardo o in minestra) e le verdure: insalate, pomodori, cetrioli, finocchio e sedano. Seguiva poi una piccolissima porzione di carne (pollo o coniglio) o una sottilissima fetta di qualche insaccato (spesso pancetta), patate e abbondanti fette di pane o di crescia. Raramente si poteva soddisfare lo stomaco e il palato con le apprezzate tagliatelle o con gli gnocchi fatti con farina di grano e patate, conditi con il sugo di coniglio.

A Pasqua la colazione iniziava con la "frittata di uova benedette" ed era uso mangiare le lasagne al forno a pranzo. A Natale invece si consumava il brodo di tacchina o di cappone, i quadrucci o tagliatelle in brodo, e il bollito di carne. Più dettagliatamente l'alimentazione cambiava a seconda dei periodi: quello invernale o quello estivo, cioè quando c'erano duri lavori da compiere.

D'inverno l'alimentazione abituale era costituita da polenta, minestre con tagliolini e quadrucci (spesso fatti con farine di fava), minestroni, zuppe di legumi, frittate, cavoli, verze, olive, salsicce, insaccati, fichi secchi, noci e mele...
D'estate si consumavano pasta fatta in casa (maccheroni, tagliatelle "pelose" senza uova, ecc), verdure fresche, ortaggi conditi ad insalata, formaggio pecorino (per chi allevava le pecore), uova sode, tanta frutta di stagione. Il consumo di pesce era molto limitato. Come secondo piatto si poteva mangiare il baccalà in umido con le patate, cotiche e fagioli, cicerchia, arrosto d'oca, coniglio in putacchio e frittata con pomodoro e cipolla. Per contorno: "pumudori" e "melanciane" arrosto, patate e "fagiulìn", fricò di verdure cotte, bandiera di ortaggi conditi ad insalata...

Il pane era "fatto in casa" e la prima colazione degli adulti consisteva in frittata di cipolle, uova sode con piselli, melanzane e pomodori arrosto, fagiolini conditi, olive e frutta. Per i bambini la prima colazione invece era una tazza di caffè d'orzo con il latte, quando c'era nella stalla una mucca che allattava il suo vitellino.

Abbiamo diviso questi piatti in primi, secondi e contorni, ma il pranzo o la cena consisteva in una sola portata e, ciò che avanzava, si mangiava nel pasto successivo o a colazione.

Ovviamente per le famiglie contadine tutte quelle occasioni, durante i lavori di mietitura, di trebbiatura ecc., rappresentavano anche un momento di gioia, soprattutto se il raccolto del grano e la resa era abbondante. Gli uomini coglievano l'occasione per indossare pantaloni nuovi di fustagno, camicie di rigatino (lino o cotone) con tessuti spessi (per evitare che si stracciassero troppo presto) e cappelli di paglia con bande larghe (copricapi che i contadini della Valle acquistavano durante la mietitura dal cosiddetto "caplàr" che veniva da Montemarciano in bicicletta, con un carico oltre misura).

Anche le donne approfittavano dell'occasione per rinnovare alcuni indumenti tra cui l'abito, il cappello o il fazzoletto da copricapo. Le addette alla cucina invece rinnovavano colorati "sinàli" o "paranànze" che generalmente erano bianchi con figure floreali o geometriche.

Tutte le persone presenti in famiglia, collaborazioni comprese, durante lo svolgimento dei lavori di mietitura prima e di battitura poi, erano chiamate ad assolvere il proprio lavoro con il massimo impegno e senso di responsabilità. Alcuni, i più robusti, dovevano passare i covi dal "barcòn" al "battitòr" (tramoggia della trebbia) o dovevano trasportare dei sacchi di grano nella "bascula" (bilancia) dove c'era il fattore o un suo fiduciario che lo controllava prima di depositarlo nel magazzino, in soffitta o nel carro del padrone. Altri uomini provvedevano al taglio dello spago dei covi prima di introdurli nella macina, altri ancora, comprese le donne, provvedevano ad ammucchiare le pule (pagliuzze) nel "pulàr" o a fare il "pajàr" (pagliaio) con le paglie che il "levatòr" della trebbiatrice inesorabilmente spingeva fuori.

La battitura del grano rappresentava il giorno di paga per i contadini, la ricompensa di un anno di lavoro e di attese che qualche volta andava compromessa dalle avversità atmosferiche. Al di la della nostalgia o della poesia, occorre ricordare che il disagio e le fatiche dei contadini di allora, anche durante la trebbiatura del grano, erano veramente tante, basti ricordare le paglie e la pùla che colpivano gli occhi e si appiccicavano nel collo sudato delle persone o nel colletto della camicia, procurando fastidio e prurito e strappando qualche bestemmía rivolta al "Santo di turno".
Stessa cosa si può dire per la battitura delle fave e del "favìn" che procuravano prurito per qualche giorno e le cosiddette "pàcch d' fàva" nelle varie parti del corpo.
Alla mietitura seguiva la spigatura, cioè la raccolta manuale delle spighe cadute in terra dopo il passaggio della mietilegatrice o trebbiatrice; era svolta dai più giovani e soprattutto dalle cosiddette casanolanti, gente ancora più povera dei contadini, che viveva o presso i contadini o "a casanàula" (in affitto).