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Scheda
: 10.08.2005
: 12.07.2007

La stalla occupava generalmente il lato più soleggiato al piano terreno della casa colonica (l'altro lato era occupato dalla cucina e dalla cantina). Nelle sere fredde d'inverno veniva usata anche come soggiorno per le veglie, essendo l'unico locale riscaldato della casa.

Nei poderi più piccoli essa era costituita: dalla mangiatoia ("greppia"), elevata rispetto al pavimento, addossata a una parete e limitata da un tavolone lungo e spesso, trattenuto da traverse fissate alla parete, forato a intervalli per legarvi le bestie; dalla lettiera sulla quale veniva sparso lo strame per il riposo delle bestie; da un corridoio di passaggio separato da un canale di scolo delle orine ("curiol") che immetteva in una cisterna all' esterno.

L'angolo all'inizio della lettiera era recintato per tenervi il maiale o serviva per legarvi uno o due vitelli (al loro collo era legato un guinzaglio terminante con un legnetto che veniva inserito in un cappio sporgente da un foro della mangiatoia).

Nei poderi di quindici - venti ettari la stalla aveva due lettiere e due mangiatoie, separate da un corridoio centrale delimitato da due corrioli.

Doveva infatti ospitare fino a una quarantina di bovini disposti su due file: vacche da lavoro, un paio di buoi, vitelle e vitelloni, talvolta un toro da monta, diversi vitelli poppanti rinchiusi sciolti in un apposito recinto ("mandriòl").

La porcilaia con una o due scrofe, i maialini, i maiali da ingrasso, talvolta un verro, era situata in una costruzione apposita all'esterno.

Attrezzi

Lungo il corridoio che solitamente si allargava in corrispondenza del sottoscale si trovavano gli attrezzi necessari al governo degli animali e l'occorrente per aggiogare le bestie da lavoro: mastelle di legno e secchie zincate per l'abbeverata, forche (di legno) e forconi (di ferro) per lo spostamento del foraggio e per la raccolta del letame, carriola col piano di legno per il trasporto del letame alla concimaia, canestri a due manichi per il trasporto del foraggio dai pagliai e dell'erba dal campo, una granata di rami e una di meliga per la pulizia del corridoio, la macchina trinciaforaggi per preparare la "trita", cioè il foraggio misto a paglia tagliato a pezzi da versare nella mangiatoia con la "crinella". La ruota della macchina, munita di due mannaie ("manar"), veniva girata a mano o per mezzo di un motore a scoppio.

Alla parete, appesi a chiodi o posti su mensole, erano sistemati i gioghi, le matasse di corda sottile per le briglie ("muraj") con morsi di ferro per il naso delle vacche, la frusta, lo spazzolone ("scopa") e la striglia ("strea") con lamine di ferro lisce e dentate alternate, la luma a petrolio appesa a una trave con un filo di ferro.

Rigovernatura

I lavori di rigovernatura comprendevano: - la somministrazione della trita o del foraggio intero (fieno di lupinella con gambi legnosi, cime di granoturco, strame contenente una parte di erba secca da pliccare). - l'abbeverata dopo il pasto, con secchie e masteIle, o conducendo gli animali al mastello del pozzo. - l'asportazione dei rozzoni ("rusòn"), cioè dei gambi legnosi del foraggio, rifiutati dalle bestie - l'asportazione del letame ("stabi" - v. stabul) che veniva caricato sulla carriola e trasportato sulla letamaia ("banchina"), dove restava per almeno un anno a maturare; la maturazione era spesso favorita da un intonaco di fango steso all'esterno - il rifacimento della lettiera sollevando o sostituendo lo strame - la strigliatura e la spazzolatura periodica delle vacche e, più raramente, la lavatura - la liberazione dei vitelli al momento della poppata e il loro recupero al termine.

Il parto

Quando una vacca lanciava lunghi muggiti o tentava di ingropparne un'altra, la diagnosi del contadino era: "S'armòv" ("Si rimuove", cioè "E' in calore"). Era il momento di accoppiarla col toro.

Se ve n'era uno nella stalla, la vacca veniva portata all'esterno e tirata dentro un'impalcatura di legno in modo da tenerla ferma durante l'accoppiamento. Altrimenti veniva condotta alla più vicina stazione di monta autorizzata, una casa colonica che all'esterno recava la scritta in grandi caratteri: "STAZIONE DI MONTA TAURINA E SUINA".

La data dell'evento veniva annotata con un carbone sopra la mangiatoia, in modo che all'approssimarsi del parto, nove mesi dopo, la vacca gravida potesse essere sorvegliata giorno e notte.

Dopo la rottura delle acque, all'esterno della "natura" comparivano gli zampetti anteriori del vitello. Il contadino introduceva il braccio all'interno della vagina per accertarsi che il vitello si trovasse nella giusta posizione e per riportare la testa verso le zampe, nel caso che si trovasse ripiegata all'indietro (nei casi più difficili veniva chiamato il veterinario). Appena possibile i due zampetti venivano legati insieme con una corda che veniva tirata con forza da due uomini in coincidenza con le contrazioni.

Il momento più difficile era l'uscita della testa; poi il resto del corpo scivolava fuori senza problemi. Tagliato il cordone ombelicale e rianimato il vitello con spruzzi d'aceto sul muso, il neonato veniva lasciato alle cure della madre che lo asciugava leccandolo a lungo. Dopo alcune ore la vacca espelleva completamente la placenta che veniva interrata per evitare che la mangiassero i cani.

Poco dopo la nascita il vitello tentava di alzarsi sulle zampe malferme e veniva aiutato a prendere la prima poppata di colostro. Dopo una decina di giorni il latte era ormai candido e lo si poteva mungere per farlo assaggiare ai ragazzi, tiepido, spumoso, fragrante (v. Dante: "Soave come latte appena munto").

Il vitello, ormai sicuro sulle zampe, cominciava a stimolare la lattazione con colpi di testa da sotto la mammella, mentre la madre lo leccava amorevolmente. In seguito una parte del latte si poteva mungere ("mògna") per farci la zuppa col pane, o darlo a un ammalato o farlo coagulare col presame ("pres") per ottenere il formaggio.

Lavoro

Per i lavori nei campi e per il trasporto col biroccio o col carro il paio di vacche doveva essere aggiogato e bardato con le redini.

Per i viaggi al mulino e in generale per l'uscita sulla strada maestra alle vacche venivano fatta indossare la"coperta" costituita da un telo bianco con un occhiello per farvi passare la coda e due fettucce da legare sotto il collo; fra i trefoli delle corde venivano inseriti fili o fettucce rossi contro l'invidia.

Mercato

In preparazione per la vendita al mercato vacche e vitelli venivano sottoposti alla lavatura, al taglio delle unghie eseguito dal fabbro con tenaglione taglienti, all'unzione degli zoccoli e delle corna con grascia.

In alcune occasioni attorno alle corna venivano annodati i "fiocchi", consistenti in grossi e lunghi cordoni rossi e blu fatti con fili di lana inseriti in una corda centrale. L'acquirente valutava l'aspetto dell'animale e, particolarmente, i quarti posteriori, la giogaia e le corna che dovevano presentare la curvatura e la simmetria caratteristiche della razza romagnola.

A un esperto bastava un colpo d'occhio per stabilire l'età di una bestia adulta: se il bianco, partendo dalla base del corno, era arrivato vicino alla cima era segno che la bestia aveva dieci o quindici anni di età.

In ogni caso, prima della chiusura del contratto, l'acquirente apriva la bocca all'animale per osservare la sua dentatura e stabilirne l'età con maggiore precisione.

Le trattative per la vendita e per l'acquisto venivano condotte dal fattore del podere o da un sensale professionista ("sansal") che suggellava il contratto allacciando le destre dei due contraenti, sempre restii e titubanti.

E non era ancora detta l'ultima parola. L'animale veniva fatto camminare: se l'andatura non era perfetta, il compratore poteva pretendere una detrazione sul prezzo convenuto ("armagnà qualcò in tla caminata"). Il contratto diventava esecutivo solo dopo che erano trascorsi gli "otto giorni della salute": se la bestia manifestava qualche malattia, il compratore poteva chiederne l'annullamento. Al mercato del bestiame o foro boario non si scambiavano solo bovini ma anche maiali, pecore, capre e animali da bassa corte. Per gli asini e i cavalli c'erano mercati specializzati in varie località. Molto rinomate erano le fiere degli asini di Urbania e Cingoli. In occasione del mercato che si svolgeva di sabato, si scambiavano inoltre "some" di canne e di vinchi e si acquistavano macchine e prodotti per l'agricoltura.










Stalla a San Costanzo (archivio F. Fragomeno).

Stalla.
Luciano Poggiani

Stalla a Cartoceto.
Luciano Poggiani