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Scheda
: 01.01.2005
: 19.06.2005

L'archeologia industriale ha anche il merito di aver posto all'attenzione tutti gli aspetti socio-antropologici e la dimensione architettonica dei luoghi del lavoro aggregato nella loro struttura obsoleta. Alte ciminiere in mattoni, massicce fabbriche in pietra, pensiline e strutture in ferro e vetro, centrali idroelettriche simili a cattedrali, villaggi operai, stazioni ferroviarie, ponti e opere idrauliche costituiscono i materiali più rappresentativi della rivisitazione critica della cultura architettonica sviluppatasi in Italia tra XIX e XX secolo a seguito della rivoluzione industriale.

Nelle Marche, per il grande peso che qui ha avuto l'agricoltura, con un sistema mezzadrile così diffuso e parcellizzato sull'intero territorio regionale per più di mezzo millennio, le industrie come d'altronde le metropoli non hanno avuto modo di svilupparsi, come invece è accaduto in altre aree. Non esiste dunque un patrimonio architettonico industriale consistente, tale da giustificare una storia e una tradizione specifica anche se alcune «officine» elettriche, le fabbriche metalmeccaniche di Pesaro, le cartiere Milani di Fabriano, i tabacchifici di Chiaravalle e Senigallia, le filande di Fossombrone, Osimo, Jesi e Ascoli Piceno, il lanificio ex-cartiera di Fermignano e certe strutture minerarie a Cabernardi e a Perticara di Novafeltria potrebbero indicare, senza alcun complesso di inferiorità, le tappe di un possibile itinerario attraverso le Marche, al passo con i processi industriali ottocenteschi cui facevano da supporto le forme attive di lavoro a domicilio, in città come in campagna (si pensi, ad esempio, alla rete produttiva agricola legata all'industria serica), alle quali tanto deve il successo del cosiddetto «modello marchigiano» degli ultimi decenni.

Queste tracce, per quanto significative, sono però sporadiche e di minor rilievo rispetto all'immagine classica delle Marche rurali, nelle quali piuttosto va cercato il tessuto produttivo a base artigianale, più proto-industriale che industriale, diversificato tra le varie aree sub-regionali, persino tra vallata e vallata, che caratterizza veramente la regione. Le fornaci di mattoni e laterizi, le fornacelle per la cottura della calcina, isolate o accorpate ad antiche cave e miniere, i mulini per la macinazione dei frumenti, i frantoi e i friscoli per l'olio, le gualchiere (o valchiere) e le conceríe lungo i tanti corsi d'acqua della regione, gli essiccatoi, le caciaie dei Sibillini, le carbonaie sull'Appennino, i piccoli cantieri navali, non ultimo i forni comunitari dei borghi rurali, le fontane e i lavatoi pubblici come luoghi del quotidiano lavoro femminile, i mercatali per le fiere del bestiame e le «piazze delle erbe», sono questi i luoghi più rappresentativi del lavoro di una regíone agricola come le Marche. Tipologie costruttive spesso di dimensioni ridotte, mai monumentali, bene inserite nei contesti urbani come nei paesaggi agrari; strutture produttive e di scambio che più hanno integrato le attività e gli interessi della città con quelli della campagna; dove più si sono manifestati il rapporto e la simbiosi tra «fabbrica» e territorio, dove si è espresso più il valore del lavoro che quello della moderna macchina; strutture nelle quali è ancora evidente la stretta dipendenza dalle contigue fonti di energia come dalla localizzazione delle materie prime. Non ultimo, esse hanno fatto da supporto ai commerci, ai piccoli scambi, alle trattative e al baratto, essendo punti di incontro attorno ai quali sono sopravvissute a lungo piccole comunítà.










Mulino del Piano.
Luciano Poggiani