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Scheda
: 01.01.2005
: 14.08.2005

Nei mulini più antichi gli elementi strutturali tipici non hanno carattere dominante e non ne permettono, se non nelle immediate vicinanze, l'individuazione rispetto all'edilizia rurale esistente. Sotto il profìlo architettonico il mulino arcaico rappresenta una variante tipologica dell'architettura rurale, della quale conserva in genere la povertà di dettaglio, la mancanza di particolari archítettonici, di elementi enfatizzati.

E’ soprattutto il bottaccio, con la sua composizione articolata con la fabbrica del mulino e con gli altri edifici, che conferisce varietà e collocazione autonoma rispetto al resto delle architetture rurali. Anzi si può dire che sotto il profilo tipologico si colloca nell'ambito dell'architettura rustica tradizionale con il vano delle macine (sopra i roteggi) che di solito occupa uno degli ambienti di servizio al piano terra (molino Mori di Arcevia, molino Gazzetti sul Cesano). Questo soprattutto nei mulini minori; quelli più maestosi, i mulini di città, quelli signorili, quelli ormai considerati storici (e pertanto tutelati) presentano invece una complessità maggiore, sia per volumetria dell'edificio sia per ricchezza di macchinario. Nella loro progettazione il sistema tecnologico determina variazioni tipologiche e architettoniche; nella destinazione dei locali il granaio al piano superiore e la grande luce del vano delle macine, spesso più di tre, comportano problemi costruttivi di un certo impegno; non ultima la scelta di travature particolari, non sempre reperibili in loco, idonee a coprire le grandi luci dei vani.

In generale le tecniche costruttive non si differenziano molto tra le varie aree regionali. Il muro (diga) a contatto col bottaccio (parata) ha una dimensione notevole dovendo reggere la spinta dell'acqua in esso contenuta, spesso in quantítà cospicua; si tratta di opere a secco, costruite con un'attenzione particolare, per ridurre al massimo l'imbibizione delle murature sul lato interno. Nello spessore si realizza frequentemente un'intercapedíne con argilla e ghiaia di fiume mista a terra, con effetto impermeabilizzante e drenante.

Il rapporto tra mulino e bottaccio consente di introdurre qualche altra considerazione sulle diverse tipologie di quest'ultimo. Fatta eccezione per i grandi opifici e per quelli «a torre», si possono schematizzare quattro tipi fondamentali di mulini: con bottaccio ad argine artificiale su tre lati, con bottaccio e argine artificiale a valle, con bottaccio-diga, con bottaccio isolato. Nel primo sono compresi tutti i bottacci di pianura o di valle nei quali l'artificialità riguarda per buona parte anche le opere di canalizzazione. I bottacci con argine a valle sono tipici delle colline e delle strette valli fluviali, mentre i bottacci a diga, di tipo moderno (Montefortino di Naro), sono in presa diretta sul torrente e si caratterizzano come tipici di piccoli corsi d'acqua con vena perenne e poco soggetti a piene alluvionali. Il bottaccio isolato, meno frequente, va citato solo per la sua atipicità. Nei casi esaminati il bottaccio raramente assume dimensioni rilevanti nella parte terminale, tanto da configurarsi come bacino o lago (Ca' Bernardi). Assai di rado poi la profondità supera i cinque metri, che tuttavia conferiscono ad alcuni mulini delle valli interne un notevole esito architettonico.

Come la casa rurale che sposa i materiali del posto e le tecniche costruttive locali, così il mulino non è mai riconducibile a una tipologia generalizzabile; sotto l'aspetto architettonico va altresì detto che, attorno ad esso, si accentrano a volte altre funzioni: la gualchiera per la lavorazione dei panni, la segheria (Maciano sul Marecchia), il mulino del gesso (mulino della Ghiera a Sant'Ippolito), il mulino per la polvere da sparo (lungo il Marecchia), il frantoio per le olive, il mulino per la lavorazione delle ceramiche (mulino del Signore ad Urbania), il mulino per la lavorazione dei metalli o delle pelli (Conce di San Severino), della carta (Fabriano) e persino i forni per la lavorazione della calce idrata (Brotano, Secchiano di Cagli, Conce di San Severino, Fiumicello).

L'albero a fusello o «palo» centrale (detto anche palone) dell'impianto è di norma in legno di quercia (marullo o merollo). Esso è lavorato da un «birocciaio», il quale attacca ad esso, mediante incastri (asolature) simili a quelli delle ruote del carro agricolo i grandi cucchiai, anch'essi di quercia, che mossi dall'acqua imprimono la velocità al perno. Le cerchiature e le altre parti metalliche sono opera del fabbro. Ma è il mugnaio l'uomo al quale compete la messa a punto (e la conservazione) della macchina, che ha un momento particolarmente delicato nella registrazione delle macine e nella loro periodica scalpellatura con un martello a doppia punta, detto martella (bocciarla).

A proposito dei problemi relativi alla manutenzione c'è chi ricorda anche i danni degli anni di siccità, «che colpiscono più il mugniaio che il contadino»; le macchine, infatti, restando ferme, provocano il ritiro dei legni del ritrecine o roteggio che vanno periodicamente bagnati, «prendendo acqua dal pozzo». Ma anche le piene alluvionali arrecano talvolta danni ingenti alla chiusa, tali da bloccare l'attività del mulino.










Roteggio del Mulino di Sorbolongo.
Giorgio Roberti