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Scheda
: 10.02.2008
: 03.03.2008

PRESENTAZIONE
(immagini: suasa1, suasa2, suasa7)

L'antica città di Suasa sorgeva in quello che oggi è l'entroterra di Senigallia, nella media valle del Cesano, su un terrazzo, alla destra del fiume, oggi denominato Pian Volpello e situato ai piedi dell'altura su cui sorge l'attuale capoluogo comunale di Castelleone di Suasa.

Le fonti letterarie relative a questo centro sono estremamente scarse e non ci danno informazioni circa il periodo in cui esso sorse; unico dato certo è che in età augustea era municipium, come è dimostrato dalle magistrature ricordate nelle epigrafi e l'inserimento della città, attraverso il demotico, nell'elenco pliniano dei centri amministrativamente autonomi della regio VI.

L'ipotesi più probabile che oggi è possibile formulare è che Suasa sia nata come praefectura all'indomani dell'intensa colonizzazione connessa con la Lex Flaminia de Agro Gallico et Piceno viritim dividundo del 232 a.C., e sia poi divenuta centro urbano nel corso del I sec. a.C., all'interno di quel generale processo di trasformazione urbana che interessò in questo periodo molte altre antiche praefecturae.

Di questa città sorta lungo la strada diretta verso la costa, gli scavi hanno portato alla luce diverse strutture, tra cui una grande casa patrizia (la domus dei Coiedii) e l'anfiteatro, uno dei più grandi dell'Italia centrale (96 x 76 m) e che proprio per questo doveva servire un ampio comprensorio e non solo Suasa.

Dopo il declino dovuto alla crisi economica e demografica tardo imperiale, la città viene abbandonata nel VI sec. d. C., anche a causa della guerra greco-gotica. Per sfuggire alla guerra, parte degli abitanti si rifugia nella fortezza di Conocla, primo nucleo dell'attuale Castelleone.


LA DOMUS DEI COIEDII
(immagini: pianta domus, suasa6, suasa8, vasca)

La pianta della domus (casa), così come si sta delineando dagli scavi, dalle prospezioni geofisiche e dalle tracce delle strutture ancora sepolte evidenziate dal diverso colore dell'erba, fa supporre che essa occupi una zona di circa 70 m di larghezza e circa 35 m di lunghezza, quindi, rapportandoci ad unità di misura romane, di 2 actus per 1. Ad essa però, sempre sulla base delle tracce rilevabili nell'erba e dei risultati delle indagini geofisiche, sembrano addossarsi altri ambienti, per cui la fronte dell'isolato doveva superare i 35 m di lunghezza. Il fatto che nel campo di fronte a quello dove si sta attualmente scavando le fotografie aeree e le prospezioni geofisiche consentano di intravedere un complesso che si affaccia sulla strada per circa un centinaio di metri, può essere inoltre un indizio per avanzare l'ipotesi che le varie insulae fossero di 2 x 3 actus. La domus attualmente in corso di scavo, quindi, potrebbe occupare un terzo dell'intero isolato.

L'imponente edificio aveva una larghezza già accertata di 33 m, mentre il suo sviluppo longitudinale non è ancora noto (è attualmente scavato per 50 m). L'affacciamento sulla strada antica si trova ancora al di sotto della moderna strada provinciale, che riprende quasi esattamente il percorso antico.

Le dimensioni cospicue ben si adattano ad un'abitazione di tipo estensivo, i cui caratteri “aristocratici” sono attestati anche dalla preziosità dei mosaici pavimentali e delle pitture parietali.

Sebbene non siano ancora stati completati tutti i riscontri stratigrafici, appare già chiaro che l'edificio ebbe sostanzialmente due fasi principali, contraddistinte dall'impiego di tecniche edilizie differenti, seguite poi da altri e meno importanti interventi di adattamento e ristrutturazione dei vani.

Verosimilmente la domus di prima fase (risalente alla seconda metà del I sec. a.C. o poco dopo) aveva la tradizionale struttura ad atrio, accompagnato dalla canonica sequenza di cubicula e alae. Contrapposto all'ingresso era il tablinum, al quale doveva seguire un piccolo peristilio o un più semplice hortus.

Questo complesso abitativo visse per circa 100-150 anni; agli inizi del II sec. d.C., probabilmente in rapporto a un mutamento nella proprietà, la casa fu nettamente ampliata. Il nucleo originario fu conservato pressoché immutato, ma ad esso venne aggiunto un intero nuovo quartiere attorno ad un secondo atrio, in questo caso tetrastilo. Il nuovo settore venne ad assumere una funzione specifica, quella di raccogliere i vani di rappresentanza più prestigiosi della rinnovata, sontuosa abitazione. Alla medesima fase medio-imperiale risale anche la ripavimentazione dell'originario tablinum e soprattutto l'apertura, nella parte più interna della casa, di un vasto peristilio con vasca semicircolare al centro del giardino.

Infine all'abitazione venne acquisito anche un vasto settore a destra dell'ingresso, che probabilmente faceva parte in precedenza di una distinta unità abitativa. Qui trovarono posto in particolare i vani di servizio, come le cucine, le stalle e la latrina; si è rinvenuta, non più in posto, una delle caratteristiche lastre forate poste di norma sui banconi delle latrine.

Con queste caratteristiche pressoché immutate la domus continuò ad essere abitata fino all' inoltrato IV sec. d.C., e forse più tardi ancora, come attestano soprattutto le ceramiche e i reperti numismatici ancora in corso di restauro e di studio.

Una progressiva decadenza economica dei proprietari è però costantemente attestata dai maldestri restauri eseguiti in grande economia che si osservano in più punti della casa. I preziosi mosaici del II sec. d.C. sono ora rabberciati alla meglio, le pareti vengono talora rinforzate con murature di qualità scadente, i vani che compongono la casa sono in qualche caso divisi al loro interno con tramezzi dalle medesime caratteristiche di “povertà”, il peristilio infine cessa la sua funzione di raffinato e verdeggiante locus amoenus per divenire un semplice accessorio utilitario e persino uno scarico di macerie e di rifiuti. Al termine di questo progressivo ed inarrestabile percorso di degrado l'intera domus, come tutto il resto della città, viene definitivamente abbandonata.

Al processo di degrado si ricollega un altro intervento strutturale, probabilmente databile alla prima metà del III sec. d.C.: una parte dell'abitazione, posta lungo la facciata a destra dell'ingresso, venne ceduta per la costruzione di un edificio a vano unico (circa m 14 x 11), sopraelevato rispetto ai pavimenti attigui della domus. La nuova, vasta sala era accessibile dalla strada antistante, certamente tramite una breve scalinata.

Le ragioni di questa cessione di parte della proprietà per il momento possono essere solo ipotizzate: è probabile che vadano ricercate nelle difficoltà economiche attestate dallo stesso decadimento delle strutture interne. La funzione del nuovo edificio resta ignota: si conserva in buona parte il suo mosaico pavimentale, policromo e figurato a motivi marini, che però non è sufficiente a suggerire una funzione possibile. E' forse possibile pensare alla sede di un collegium o di una corporazione, sulla base di alcuni confronti che si possono istituire con edifici simili di Ostia e soprattutto di Luni.

Oltre ai materiali già citati, la domus di Suasa ha restituito importantissimo materiale scultoreo. In alcuni vani di servizio, fra macerie e strati di scarico, sono stati recuperati frammenti di statue, fra cui un ritratto marmoreo di Augusto e una statua femminile acefala di calcare locale. Si ritiene che queste sculture non facessero parte dell'arredo originario della casa: lo stesso contesto archeologico del ritrovamento attesta che furono lì scaricate assieme ad altri materiali nel corso delle fasi di spoliazione degli edifici della città.



La famiglia dei Coiedii
(immagini: coiedii ).

Il ritrovamento di un frammento di base in calcare recante parte di un'iscrizione onoraria, ha consentito di attribuire la proprietà della domus, almeno per un certo periodo, alla famiglia dei Coiedii, già nota da altri documenti. L'iscrizione infatti, pur essendo molto lacunosa, è facilmente integrabile con un testo analogo, noto da tempo, apposto su una base simile che si trova oggi nel palazzo Compiani di Castelleone di Suasa.

L'iscrizione conservata nel nuovo frammento è la seguente:


L(ucio) Coiedio [- - -]
Cand[ido],
tr(ibuno) mil(itum) leg(ionis) V[- - -]
capitali [- - -]
[- - -]audi C[- - -]
[- - -] aer(arii) [- - -]
- - -.

Le diverse iscrizioni rinvenute ci informano sul cursus di questo personaggio, Lucius Coiedius Candidus, d'apprima tribunus militum della legio VIII Augusta, poi tresvir capitalis, questore di Claudio, questore dell'erario di Saturno, curator dell'archivio di Stato. La sua carriera senatoria si interrompe qui, probabilmente nel 50 d.C., o almeno non si hanno ulteriori menzioni per quanto riguarda pretura e consolato.

La sua famiglia appare presente nel territorio, fra Sentinum e Suasa, oltre che con questo personaggio di rango senatorio, anche con un ramo equestre e attraverso la menzione, molto più tarda, alla metà circa del III sec. d.C., di alcuni liberti.

Il frammento iscritto è stato ritrovato in un vano riempito di materiali esclusivamente provenienti dalle strutture della casa o con oggetti del suo strumentario e del suo arredo. Si ritiene pertanto che anche la statua con il suo basamento di cui il frammento è testimonianza, doveva essere esposta all'interno della dimora, secondo una prassi largamente attestata. Ne viene di conseguenza che la domus deve essere stata di proprietà della famiglia dei Coiedii, almeno per un certo tempo. Si volle in quel modo onorare un illustre esponente della gens, probabilmente colui che ottenne da Claudio, o poco prima, l'onore del laticlavio.L'apice della carriera di Candidus si svolse nell'età di Claudio, certamente nel corso degli anni quaranta del I secolo. Sarà dunque stato un discendente di Candidus l'artefice della grande espansione della casa agli inizi del II secolo, conservando all'interno l'effige dell'illustre antenato.


Vano AF
(immagini: vanoAF, vanoAF-1)

Il tappeto musivo, inserito in un campo di tessere bianche e caratterizzato dal clipeo gorgonico è considerevolmente decentrato verso ovest. Nel lato ovest del vano il tessellatum cambia decisamente aspetto: questa parte dell'ambiente è ricoperta interamente da un manto monocromo di tessere bianche, più piccole e disposte in senso obliquo. Due soglie si aprono sul lato sud del vano e un'altra doveva quasi sicuramente trovarsi sul lato nord, presso la parte figurata del mosaico.

La presenza di tre accessi farebbe pensare ad una zona "di passaggio" o comunque di larga frequentazione.

Esternamente allo scudo gorgonico quattro triangoli rettangoli rosa su fondo bianco, dall'ipotenusa curvilinea, rendono, in modo estremamente semplificato, l'idea del clipeo inscritto in un quadrato. Ciascun triangolo ha, rappresentato al suo interno con tessere bianche, un identico motivo vegetale piuttosto schematizzato: si tratta di una foglia a cuore dalla quale si dipartono due esili steli simmetricamente disposti. All'interno di una fascia circolare bianca, lo schema decorativo è caratterizzato da uno scudo di cinque file concentriche di squame, alternativamente bianche e rosa.

Al centro una cornice circolare a onde correnti rosa racchiude una bella maschera gorgonica realizzata in paste vitree verdi e blu su fondo bianco. Due ali si dispiegano al di sopra dei capelli, delimitando uno spazio entro cui è rappresentata una coppia di serpenti che si fronteggiano in disposizione simmetrica e che, in quanto elementi identificanti, sono raffigurati, nel numero di due, anche ai lati del volto e, annodati, al di sotto del mento. I tratti fisionomici si presentano ben delineati (attraverso l'impiego di tessere bianche). Il volto, ovale, appare in posizione lievemente obliqua e ne sono evidente testimonianza la disposizione delle ali e dei capelli, la non perfetta simmetria dei serpenti e la forma della bocca e degli occhi, non circolari e fissi. L'aspetto più singolare di tale schema decorativo consiste nella soluzione adottata per la rappresentazione delle squame, che sono interamente bianche o rosa, mentre in tutti gli altri mosaici, esse si presentano bipartite. Questa soluzione più articolata risponde probabilmente ad un intento decorativo che prevale sulla volontà di conferire all'immagine un effetto plastico ed illusionistico.


Vano BC
(immagini: vanoBC, vanoBC-1)

Questo vano di soggiorno estivo, aperto a nord sul giardino con una grande finestra, presenta un mosaico policromo, geometrico con inserti figurati. Entro una fascia marginale di grosse tessere rettangolari disposte in irregolare tessitura obliqua, bianche ma con numerosi inserti di colori diversi, è posto un tappeto quadrato bordato sui quattro lati, entro due cornici nere di due file di tessere, dal motivo dei girali originati da un kantharos posto al centro di ciascun lato e desinenti in foglie a cuore. All'interno, dopo una fascia di tre file di tessere bianche, una serie di triangoli a scala e una profilatura di due file di tessere nere, si distende uno schema geometrico complesso, centrato su un quadrato, profilato di nero, campito con motivo a stuoia policroma, eseguito con tessere calcaree bianche e nere e di pasta vitrea azzurra e rossa. Ai vertici di questo quadrato si inseriscono esternamente, coppie di losanghe bianche delineate, con all'interno una losanga più piccola nera, comprese fra squadre campite di nero e profilate di azzurro, decorate col motivo della treccia a due capi, policroma (bianca, nera, azzurra, rossa).

Le squadre collegano fra loro quattro ottagoni a fondo bianco, con doppia cornice nera, occupati, a coppie contrapposte, da un kantharos con bacino baccellato e anse verticali a volute (analogo a quelli del bordo esterno a girali) e da un uccelletto posto su un ramo.

La fascia esterna è caratterizzata da un insieme di rettangoli e losanghe (identiche a quelle più interne) che collegano tra loro quattro quadrati sulle punte (a fondo nero, profilati di azzurro, con nodo di Salomone policromo: bianco, nero, rosso e blu) e altri quattro ottagoni a fondo bianco, con cornice interna a dentelli neri. Qui troviamo il medesimo motivo ripetuto a coppie sulla diagonale: ancora un uccello posato su un ramo e una paperella che galleggia sull'acqua, indicata da file ondulate di tessere di pasta vitrea azzurra. I quattro rettangoli posti in asse con i lati del quadrato centrale presentano due piccoli delfini guizzanti verso sinistra, mentre quelli posti lungo la diagonale del tappeto musivo mostrano alternativamente un motivo decorativo a quattro pelte (contrapposte due a due, coi dorsi o con le parti frontali) e uno col cerchio nero al centro e due semicerchi ai lati. Quest'ultimo motivo prevede, al centro del cerchio campito di nero, un fiorellino a quattro petali bianco, non realizzato nel rettangolo di sud-ovest (per una dimenticanza del mosaicista?). Completa il bordo esterno una sequenza di losanghe (disposte a mezza stella), triangoli e trapezi bianchi delineati in nero.


Sala E
(immagini: vanoE, vanoE-1)

Entro una triplice profilatura di file di tessere nere che delimita un quadrato si inscrive un cerchio campito col ben noto schema geometrico di esagoni "a nido d'ape". Il margine del cerchio e le fasce di separazione degli esagoni sono occupati da una treccia a due capi bianca su fondo nero.

Le decorazioni delle varie parti del canovaccio geometrico sono tutte vegetali, particolarità che non ha riscontro nei pur numerosi mosaici che impiegano lo schema "a nido d'ape". Negli spicchi di risulta fra profilatura quadrata e cerchio inscritto sono inseriti cespi vegetali semicircolari acantizzati dai quali si sviluppano tre rigogliosi girali, uno centrale e due simmetricamente disposti ai lati. Nei triangoli posti fra i lati di esagoni adiacenti e il margine sterno curvilineo sono posti semplici elementi vegetali tripartiti. Gli esagoni minori sono occupati al centro da un cespo vegetale di cinque foglie disposte a ventaglio verso il basso, dalle profonde nervature minuziosamente indicate. Dal cespo si ergono cinque esili steli incurvati che terminano con fiori a tre petali. L'esagono maggiore, al centro, è campito da una rigogliosa, elegantissima "girandola" vegetale, composta da un ampio rosone centrale da cui si dipartono, alternandosi, foglie acantiformi e gruppi di cinque steli desinenti in bulbi polilobati o in fiori a tre petali simili a quelli degli esagoni minori.

La resa dei dettagli vegetali è accuratissima, attenta al rendimento dei flessuosi movimenti di foglie e fiori e delle profonde nervature, ottenuti mediante l'inserimento di file di tessere bianche opportunamente sagomate fino a dimensioni piccolissime.


L'oecus G
(immagini: VanoG)

Era la stanza più prestigiosa della casa. Il pavimento è costituito da un'ampia fascia esterna in tessellato bianco con duplice profilatura nera. In posizione centrale è un tappeto in opus sectile che affianca tra loro due moduli di dimensioni differenti. Il sistema modulare del sectile che occupa i tre quarti della sua estensione è identificabile con quello definito medio a schema quadrato reticolare. Questo modulo è ripetuto quattro volte più un terzo in senso est-ovest e tre volte più un terzo in senso nord-sud. Esso accosta formelle di diversa geometria, ma ciò che distingue l'impiego del modulo è la continua variazione ottenuta con l'impiego ricorrente di listellature di marmi diversi. Nelle formelle quadrate si hanno le soluzioni geometriche e cromatiche più varie: quadrati dritti o obliqui inscritti entro altri quadrati listellati; un ottagono a lati inflessi o un pentagono inscritti entro cerchi; cerchi con semplice o doppia corolla di petali triangolari a lati convessi ecc. L'intarsio dei marmi colorati raggiunge effetti virtuosistici nelle piccole dimensioni di taluni inserti e nell'impiego di pietre dal ricercato effetto cromatico: fra i circa quindici tipi diversi si segnalano il giallo antico (o numidico), il bianco lunense, il bardiglio, il pavonazzetto, il rosso di Verona, il verde antico, il basalto e la diorite neri.

Perfettamente in asse con questo locale, al centro del peristilio della casa, è posta una vasca semicircolare, le cui pareti sono rivestite da uno strato di cocciopesto impermeabilizzante che si raccorda con il pavimento in opus spicatum formando un grosso cordolo.

La discesa all'interno, per le opere di pulizia e manutenzione, era consentita da quattro scalini posti in angolo: il più basso aveva forma rettangolare, mentre i tre soprastanti erano semicircolari.


Ambiente H
(immagini: ambienteH)

Inquadrato da una stretta fascia bianca, occupa l'intero vano un mosaico bianco-nero del tipo "a cassettoni". Il canovaccio è costituito da una fila di sei formelle quadrate ripetuta undici volte; sei motivi decorativi sempre differenti si susseguono in orizzontale, alternati in verticale in modo che l'ultimo di una fila diviene il primo di quella seguente, il primo diviene il secondo e così via.

Le fasce ortogonali che separano le formelle sono occupate da una treccia a due capi bianca su fondo nero. Nelle formelle quadrate si alternano i seguenti motivi decorativi: rosetta a sei petali lanceolati bianca su cerchio nero; svastica nera obliqua entro quadrato obliquo bianco e triangoli minori bianchi con vertici tangenti alla metà dei lati del quadrato; nodo di Salomone bianco entro quadrato obliquo nero con doppia profilatura bianca e nera; quadratino bianco entro due quadrati obliqui inscritti uno nell'altro, uno nero a lati inflessi, l'altro bianco, con triangolini adiacenti alla metà dei lati (analoghi a quelli della seconda formella); rosetta bianca a quattro petali lanceolati entro quadrato nero a lati inflessi, a sua volta inscritto in un cerchio bianco su fondo nero, attorniato da quattro fogliette cuoriformi bianche; esagono stellato con punte nere entro altro esagono bianco, a sua volta inscritto in un cerchio nero profilato di bianco.
Il canovaccio a cassettoni, è uno dei più diffusi nel repertorio musivo d'età romana e si diffonde dagli esempi policromi e prospettici della metà del I sec. a.C. fino agli ultimi esiti degli inizi del IV sec. d.C. e oltre.


Tablinum O
(immagini: vanoO, vanoO-1)

Al centro di un'ampia fascia monocroma bianca a orditura obliqua e profilata esternamente, è inserito un tappeto quadrato bianco-nero figurato, impostato sul canovaccio di quadrati e rettangoli combinati secondo uno schema centralizzato che riserva al quadrato principale la posizione mediana. Entro una cornice quadrata di tre file di tessere nere corre una fascia a denti di lupo neri, interrotta agli angoli da coppie di triangoli neri accostati alle basi. All'interno, dopo un listello nero di una sola fila di tessere, si distende lo schema geometrico di quadrati e rettangoli, separati da linee ortogonali di astragali.

I quadrati minori posti agli angoli sono occupati da una rosetta a quattro petali apicati con bottone centrale, sempre ripetuta. I rettangoli presentano ciascuno un uccello - sempre diverso - intento a beccare dei frutti: un pavone davanti ad un cesto tondeggiante inclinato colmo di ciliegie; una quaglia che si accosta ad un lungo e stretto kalathos da cui fuoriescono delle mele; un fagiano intento a beccare i chicchi d'uva da un ramo di vite;

infine una pernice presso un ramo da cui pendono quattro frutti tondeggianti, forse melagrane. La formella centrale presenta un satiro ebbro volto a sinistra, semisdraiato su uno sperone di roccia: il suo corpo è nudo, col torso e la gamba sinistra tesa in avanti inclinati verso l'osservatore, mentre la gamba destra, flessa col ginocchio sollevato, è di profilo. Il braccio sinistro, appoggiato alla roccia, sorregge il pedum; quello destro è abbandonato dietro la testa, coronata di foglie, con la mano che impugna un corno potorio rovesciato. Davanti, da un esile alberello stilizzato pende una siringa, annodata a un ramo per mezzo di un nastro dai capi svolazzanti. La muscolatura del corpo del satiro è accuratamente sottolineata da file di tessere bianche, che rendono anche i dettagli interni del piumaggio degli uccelli, le nervature delle rosette angolari, le lumeggiature delle superfici curve dei frutti e l'intreccio dei kalathoi. La generale simbologia delle figurazioni è chiaramente dionisiaca: ad essa rimandano la presenza del satiro ebbro con i suoi attributi (pedum, siringa, corno potorio) e gli stessi uccelli e frutti, per i quali ben nota è la valenza dionisiaca, in particolare per il pavone, la mela, le ciliegie e ovviamente l'uva, ma anche per lo stesso kalathos, attributo di Dioniso. Di particolare interesse l'iconografia del satiro ebbro, assai rara nei mosaici, ma frequente nella statuaria e nel rilievo.


Edificio S
(immagini: vanoS, vanoS-1)

L'unico ampio vano di questo edificio presenta un mosaico policromo e figurato articolato in più riquadri. L'intero tappeto è inquadrato da una semplice profilatura nera che si allarga a T verso ovest, nella parte perduta del mosaico. Più all'interno corre una cornice a dente di sega neri, con le punte rivolte verso l'interno. I due riquadri hanno cornici differenti. Quello maggiore presenta, dall'esterno verso l'interno, una fascia a meandro di svastiche e quadrati neri su sfondo bianco; una linea a onde bianca su fondo a colori contrastanti; una fila di rettangoli con losanghe inscritte profilati in nero; infine una fila di quadrati adiacenti grigi profilati di nero. All'interno, su fondo bianco, si conservano, della composizione originaria, una coppia con Tritone e Nereide rivolta verso il lato lungo nord e, di una seconda coppia rivolta in senso opposto, quasi esclusivamente la Nereide. La coppia meglio conservata mostra le due figure abbracciate: a destra la Nereide, adagiata sulle spire del suo compagno, trattiene con la sinistra un kantharos metallico giallo-oro; a sinistra il Tritone, dal torso umano e parte inferiore del corpo anguiforme, con spire e ampie pinne frastagliate sul davanti, impugna con la destra un'ancora.. Le parti nude sono in colore rosso per il Tritone, rosa chiaro per la Nereide. Sommariamente indicati con file di tessere scure sono i dettagli anatomici, mentre file di tessere chiare lumeggiano i volumi. Le spire del Tritone sono in tessere verdi e grigie di varie tonalità; le pinne hanno frange rosso scure. I volti hanno i dettagli indicati da tessere nere, con occhi grandi e fissi. Alle braccia e al collo della Nereide sono indicati grossi monili, rossi profilati in nero. La capigliatura del Tritone è ad ampie ciocche scomposte, nere con sfumature più chiare, mentre quella della Nereide, è scompartita in due bande intrecciate e raccolte ai lati del capo.

Della coppia opposta resta la figura della Nereide, seduta a sinistra, con la parte superiore del corpo nuda e con un ricco panneggio giallo, rosa e rosso scuro che copre le gambe, lasciando però intravedere i piedi nudi. Il braccio destro è quasi completamente perduto, mentre quello sinistro trattiene un lembo della veste.

Del Tritone a destra resta solo una piccola parte delle pinne frangiate, in varie tonalità del rosso e del rosa. Il rettangolo centrale (gravemente lacunoso) era occupato da due delfini, su fondo bianco, guizzanti verso sinistra e allacciati da bende rosse annodate.
Questo esemplare arricchisce ora la non cospicua serie di mosaici policromi e figurati delle Marche e si distingue per la sua elevata qualità, particolarmente nel trattamento delle figure del Tritone e delle Nereidi.


(immagini: monete)

Le sculture
(immagini: scultura-1, scultura-2)

Fra i materiali rinvenuti nella struttura, vi sono anche alcuni frammenti di sculture di marmo o di calcare, certamente non pertinenti in origine all'arredo interno della casa. Si deve pensare che nel corso delle intense spoliazioni di materiali in pietra e marmo che hanno interessato tutta l'area della città dopo il suo abbandono, siano stati scaricati qui, in vani posti lungo la principale strada della città, pezzi di sculture che venivano asportati per riutilizzarli come materiale da costruzione o per farne calce negli abitati che cominciarono a sorgere, nel corso dell'alto Medioevo, attorno all'antica città romana ormai in rovina. Interessante però è anche la vicinanza ai vani nei quali si sono ritrovate le sculture dell'enigmatico edificio S (link), la cui funzione rimane incerta, ma per il quale si è ipotizzata la sede di un collegium, dunque a valenza pubblica o semi-pubblica che potrebbe non essere in contrasto con un corredo scultoreo importante.

Fra i ritrovamenti più importanti vi sono una testa-ritratto e parte della gamba di una statua in marmo di Augusto, entrambi in marmo bianco a grana media, di dimensioni superiori al vero. Si tratta di un prodotto di alta qualità di una bottega "colta" e forse di provenienza urbana. La scultura in origine era certamente collocata in un edificio pubblico della città, per essere poi fatta a pezzi per il riutilizzo del marmo; si è ipotizzato che facesse parte di un ciclo onorario giulio-claudio, come attestato anche in altri centri vicini della regio VI.

Interessante è poi una statua femminile acefala di calcare. La figura, stante con la gamba destra leggermente flessa all'indietro e piegata verso destra, veste una lunga tunica che scende in fitte pieghe fino a coprire parzialmente i piedi. Essa era probabilmente destinata ad un'edicola o comunque ad essere collocata contro una parete, come lascia supporre la sommaria esecuzione della parte posteriore. L'esemplare rientra quindi in una nota e numerosissima serie di statue femminili onorarie, di età tardorepubblicana o altoimperiale, spesso a destinazione funeraria.


Le ceramiche Il lungo uso delle strutture abitative, unito alla presenza di fosse agricole moderne che hanno interessato gli strati superiori dello scavo, giungendo a notevole profondità tanto da intaccare i pavimenti della casa, fa sì che la lettura di tali strati non sia agevole, e che ci si trovi spesso davanti ad associazioni di materiali che hanno un ampio excursus cronologico. L'approfondimento dello scavo, con l'apertura di saggi in profondità sia all'interno della domus che all'esterno, ha portato infatti in luce una grande quantità di materiale di età repubblicana e di piena età augustea, in alcuni casi anche molto fine (terra sigillata italica decorata e coppette a pareti sottili), oltre a ceramica di importazione tarda, di produzione africana e microasiatica.

I rinvenimenti recenti, specialmente quelli nei saggi in profondità, costituiscono un'importante testimonianza relativamente alle fasi più antiche della domus e sulla probabile frequentazione del sito prima dell'impianto stesso della casa, riferibile ad una fase forse prefettizia del vicus, che avrebbe preceduto quella municipale, probabilmente senza soluzione di continuità. A questo proposito si possono citare alcuni materiali significativi: una coppa a vernice nera con anse "ad orecchie" di probabile produzione volterrana e quanto meno di area "etruschizzante", di II sec. a.C., vasellame a vernice nera databile al III-II sec. a.C., lucerne di tipo ellenistico collocabili in età repubblicana.

Particolarmente interessante è il ritrovamento di un'anfora rodia risalente probabilmente al II sec. a.C.: si tratta di uno dei pochi esemplari finora noti in area alto e medioadriatica di questi contenitori da trasporto, adibiti al commercio del vino rodio, ad eccezione di quelli documentati ad Ancona.

La ceramica a vernice nera documentata a Suasa soltanto in piccola parte può essere riferita a prodotti di importazione; per lo più infatti le caratteristiche tecniche sono tali da far pensare a prodotti "locali o regionali", anche se per ora è difficile fare ipotesi sui luoghi di fabbrica.


L'ANFITEATRO
(immagini: anfit03, anfit04)

Sulla base degli scavi effettuati, l'anfiteatro di Suasa risulta essere uno dei maggiori della regione Marche. Questo edificio occupava, secondo una regola dell'urbanistica romana, una zona periferica rispetto all'asse principale della città e nel suo sviluppo era in parte condizionato dalla morfologia che sembra aver determinato livelli di accesso diversi.

La sua posizione era stata localizzata sin dalla fine del secolo scorso e il muro perimetrale era stato rimesso in luce negli anni 60. Un settore dell'ima cavea e dell'arena è stato invece liberato dall'imponente interro dovuto al livellamento agricolo solo alla fine degli anni 80 (?). Le successive campagne di scavo hanno invece raggiunto lo scopo di esplorare la parte inferiore delle gradinate e un tratto del podio.

L'anfiteatro presenta dei vomitoria, in origine con volte a tutto sesto, una delle quali è stata parzialmente ripristinata con un accurato restauro. Il muro perimetrale è costituito da un paramento esterno a file di piccoli conci squadrati in pietra bianca e rosata, alternati a corsi di laterizi; la faccia interna, contro terra, è invece in ciottoli.

L'asse maggiore dell'anfiteatro misura 333 piedi romani, cioè 98,70 m, quello minore è di 260 piedi romani, corrispondenti a 77,20 m; il rapporto fra i due assi è 1,28.

Le dimensioni dell'arena, al momento solo ipotizzabili, dovrebbero però essere di 203 piedi per l'asse maggiore e di 120 per l'asse minore.

I due ingressi che immettono nell'arena sono affiancati da due corridoi con piano di calpestio più elevato rispetto all'accesso centrale.

Il podio è interamente costruito in laterizio; l'unica praecintio conservata, quella fra l'ima e la media cavea, è pavimentata con lastre di calcare locale.

La struttura delle gradinate è in ciottoli.
I vomitoria sono affiancati, alla distanza di 9 piedi, da scalette larghe 3 piedi.

I saggi effettuati fino all'imposta delle fondazioni della muratura in corrispondenza della crypta I hanno fra l'altro restituito materiale ceramico e monete della prima età imperiale.


I MOSAICI E LE PITTURE PARIETALI
(immagini: affresco, vanoAF, vanoS, vanoBC, parete)

Uno dei risultati più significativi degli scavi di Suasa è costituito senz'altro dai mosaici e dai resti delle pitture parietali.

I primi appartengono nella quasi totalità agli inizi del II sec. d.C., quando per la nuova pavimentazione musiva del tablinum si scelse un mosaico bianco-nero a riquadri con figurazioni di carattere dionisiaco: uccelli che beccano frutti nei rettangoli minori, un giovane satiro semisdraiato su una roccia nel più grande riquadro centrale.

A questo si accompagnano i mosaici delle sale di rappresentanza che attorniano il nuovo atrio tetrastilo: due mosaici ancora bianco-neri a canovaccio geometrico, uno del tipo "a cassettoni", l'altro a esagoni "a nido d'ape" inscritti entro un cerchio, con finissime decorazioni a cespi vegetali e fiori all'interno di ogni esagono.

L'oecus maggiore ha invece un opus sectile entro una fascia musiva bianca, nella quale furono più tardi inserite le raffigurazioni di alcuni oggetti che richiamano il mondo e i giochi dell'anfiteatro. Infine un'ultima sala reca un mosaico policromo geometrico con splendido Gorgoneion centrale in piccole tessere di pasta vitrea verde.

Ai resti delle pitture parietali, raccolti per lo più in strati di crollo, si sta attualmente lavorando, per renderli pienamente leggibili e ricomporli nelle unità delle singole pareti.

Quasi ogni vano di rappresentanza e ogni cubiculum aveva ricche decorazioni dipinte nella tradizione del "quarto stile", quindi verosimilmente risalenti tutte alla fase edilizia degli inizi del II sec. d.C.

In particolare, nell'atrio si sta ricomponendo un sistema parietale alto circa 4 m che doveva stendersi sull'intera parete di oltre 10 m.
La rarità, al di fuori di Roma e dei centri sepolti dal Vesuvio, di complessi pittorici dell'entità e dell'alta qualità di quelli scoperti a Suasa indica di per sé l'importanza di questi ritrovamenti.


A CITTÀ ROMANA DI SUASA - GLOSSARIO
Demotico:
aggettivo derivato dal nome di un paese o di una città, per indicare l'origine di una persona.
Anfiteatro:
edificio tipicamente romano che fungeva da sede stabile per gli spettacoli popolari. Privo di copertura, presenta una pianta a ellissi e consiste in un'arena non lastricata e coperta di sabbia circondata da più ordini concentrici di gradinate (tra cui il podio riservato alle autorità) divise in settori. La serie di gradinate prende il nome di cavea, per cui l'ima cavea è la gradinata più in basso, la media cavea quella di mezzo. Ai gradini si accedeva tramite porte di accesso chiamate vomitoria. I vari ordini di sedili erano divisi da pianerottoli o ripiani circolari chiamati praecintiones.
Domus:
è la casa urbana (quella rurale era chiamata villa ) in cui si svolge la vita familiare e privata del romano agiato. Sempre ad un solo piano, nel suo schema generale la domus romana comprende tre zone. La prima, centrale, è composta dall'atrium e dal tablinum. L'atrium è una grande sala d'ingresso, che ha al centro del tetto un'apertura rettangolare per far passare la luce e l'acqua piovana, che si raccoglie in un'apposita vasca (impluvium). Il contiguo tablinum è un vasto ambiente destinato ad archivio o a biblioteca. La seconda zona, distribuita intorno all'atrium, consiste in una serie di camere (cubicula) in genere decorate con affreschi e corridoi (alae). La terza, il peristylium, è un portico colonnato con giardino centrale (hortus) sul quale si affacciano altre stanze.
Nelle domus più lussuose vi erano anche sale di rappresentanza e di ricevimento (oecus), talvolta con colonnato interno.
Insula:
gruppo di case.
Opus sectile:
mosaico ottenuto con frammenti di marmo colorati, disposti in modo da formare un disegno geometrico.
Opus spicatum:
mosaico ottenuto con piccole mattonelle di forma parallelepipeda disposte a spina di pesce.
Municipium:
città governata da leggi proprie ma i cui cittadini avevano diritti e doveri della cittadinanza romana (escluso diritti di voto attivo e passivo).
Praefectura:
prefettura (città italica governata da un magistrato romano);
Actus:
120 piedi romani (Piede romano: circa 29,6 cm)
Kantharos:
coppa, boccale; vaso da bere con larga apertura e larghe anse a forma di orecchie, talora più alte dell'orlo.
Kalathos:
coppa per il vino.
Pedum:
verga da pastore.
Siringa:
strumento a fiato formato da una serie di canne di lunghezza differente tenute insieme da cera o corda.









Area archeologica - suasa1
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Area archeologica - suasa2
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Area archeologica -
gli scavi della domus - suasa7

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Area archeologica -
pianta domus

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Area archeologica -
particolare dello scavo -
suasa6

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Area archeologica -
particolare dello scavo -
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Area arcehologica -
vasca semicircolare -
vasca

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Area archeologica -
frammento di calcare con iscirizione -
coiedii

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Area archeologica -
Mosaico del vano AF -
vano AF

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Area archeologica -
vanoAF-1

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Area archeologica -
vanoBC

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Area archeologica -
vanoBC-1

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Area archeologica -
vanoE

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Area archeologica -
vanoE-1

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Area archeologica -
vanoG

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Area archeologica -
ambienteH

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Area archeologica -
vanoO

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Area archeologica -
Mosaico policromo dell'edificio S -
vanoS

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Area archeologica -
vanoS-1

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Area archeologica -
Monete rinvenute negli scavi
degli anni 1988-89 -
monete

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Area archeologica -
scultura-1

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Area archeologica -
scultura-2

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Area archeologica -
una delle porte di accesso (vomitoria)
anfit03

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Area archeologica -
veduta aerea dell'anfiteatro,
prima degli scavi
anfit04

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Area archeologica -
pittura parietale con statua equestre -
parete

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