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Scheda
: 24.10.2006
: 29.06.2022
Secolo X e XI

Testo tratto da
"L'incastellamento medievale nella valle del Cesano, Mondolfo, Monte Offo, 1997
e
Tipologie e forme dell'incastellamento medievale nella valle del Cesano, in "Castella Marchiae", n. 10/11 (2008/2009), pp. 16-27
di Roberto Bernacchia"

. La valle del Cesano è un'area di antico insediamento. All'aprirsi del medioevo essa aveva già alle spalle una lunga vicenda di stanziamenti di gruppi umani e di colonizzazione del suolo; anche l'insediamento fortificato vantava una sua tradizione. Malgrado ciò, la transizione dall'antichità al medioevo (secoli IV-VII) fu un'epoca di profonde trasformazioni delle strutture insediative. In questo periodo divenne acuta la crisi dell'urbanesimo antico, un fenomeno iniziato alcuni secoli prima nel mondo greco-romano. Nel medio Cesano scomparve la città di Suasa: il fatto, unito all'assenza di un approdo marittimo allo sbocco vallivo, ebbe notevoli ripercussioni sui futuri assetti dell'insediamento nella vallata. In genere si assiste ora all'abbandono dei siti di fondovalle, non adeguatamente difesi e investiti con facilità dagli eserciti invasori e da bande di razziatori che percorrevano le principali arterie di collegamento.

Per far fronte a tali minacce l'Impero romano aveva predisposto dei sistemi di difesa territoriale, di cui si intravedono delle tracce nelle Marche settentrionali, in particolare lungo una strada intervalliva tra il Cesano e il Foglia.

Anche Mondolfo sarebbe un esempio di castello tardoantico e altomedievale: ciò sulla base di indizi di carattere archeologico e strutturale ossia dell'urbanistica estremamente regolare del nucleo originario. I due assi ortogonali che si incrociano al centro del recinto, il loro orientamento e le dimensioni complessive di 120x90 m., con gli isolati lungo il cardo misuranti 200 piedi romani, fanno risalire l'impianto ad una fase anteriore al periodo dell'incastellamento.

Un particolare ambito strategico fu la Bulgaria del basso Cesano, riconducibile all'età longobarda, anche se le prime attestazioni sono del sec. XI. Il nome è di etimologia controversa: secondo alcuni da burgus "castello", più probabilmente dall'etnico bulgaro. I primi castelli cesanensi sono comunque messi in relazione proprio con questa Bulgaria. Nel 1001 l'imperatore Ottone III vieta che tre castelli dell'abbazia di S. Lorenzo in Campo vengano concessi a laici con contratti scritti: il primo di questi castelli è associato alla cella (piccolo monastero) di S. Pietro in Bulgaria; gli altri due sono quelli di Cavallara e di Gaio (valle del Metauro). Si tratta sicuramente di possessi di origine pubblicistica situati in zone strategiche, perciò assoggettati a uno speciale vincolo da parte del sovrano.

Con l'ingresso, alla fine del VI secolo, dei Longobardi spoletini nella valle del Cesano, seguiti dai loro alleati Protobulgari (da cui il nome Bulgaria) e Sclaveni, le trasformazioni dell'assetto insediativo e fondiario subirono una forte accelerazione, finendo per assumere i caratteri tipici della Langobardia (Italia longobarda), con la presenza di centri rurali ed organizzativi come villaggi, castelli e centri curtensi; ciò in netto contrasto con la Romània (Italia bizantina), dove prevaleva l'insediamento sparso nelle campagne, mentre la città rimaneva l'unico centro organizzatore del territorio. Tutto questo si riflette nelle Marche settentrionali nella contrapposizione tra un'area monastica, dove forte era l'influenza di monasteri proprietari di estesi complessi fondiari, e un'area arcivescovile ravennate, caratterizzata invece dalla presenza dei beni dell'arcivescovo di Ravenna derivanti da donazioni degli imperatori d'Oriente e dell'aristocrazia militare bizantina. La presenza monastica nella prima di queste aree limitava assai la capacità di controllo dei vescovi sulle varie chiese e sull'organizzazione della cura d'anime, rendendo effimera e tardiva la diffusione delle pievi (chiese battesimali con cura d'anime). Monasteri come S. Lorenzo in Campo e S. Gervasio di Bulgaria, oltre ad esercitare un ruolo nel processo di incastellamento, con la loro sola presenza attrassero la popolazione rurale, qualificandosi come poli religiosi, economici, politici e culturali.

L'analisi della viabilità altomedievale conferma la rilevanza strategica della valle del Cesano e della sua Bulgaria. Mentre la strada di Suasa, alla destra del fiume, cade sempre più in abbandono, il diverticolo della Flaminia che scende da Cagli lungo la riva sinistra sembra ad un certo punto aver sostituito addirittura il ramo principale dell'arteria consolare, ossia quello della valle del Metauro e del Furlo, quale via di collegamento tra l'Umbria e Fano. Non è un caso che proprio nel tratto Cagli-Pergola si localizzino quasi tutti i successivi castelli del Cagliese.

Che cos’è l'incastellamento? Il verbo medievale incastellare significa "andare ad abitare nel castello", "entrare nel castello con le proprie cose". Oggi esso viene usato in sede storiografica per indicare il complesso delle operazioni atte ad organizzare un centro abitato che, oltre ad essere fortificato, assuma compiti economico-agricoli e quindi politico-amministrativi. L'incastellamento è perciò una fase distinta e più tarda (secoli X-XIII) rispetto ai processi fortificatori della tarda antichità e del primo medioevo.

Il contesto storico nel quale comincia a prendere corpo l'incastellamento è quello dell'Europa postcarolingia, nella quale alla disgregazione dei quadri amministrativi dell'impero carolingio e alla debolezza, o assenza, del potere centrale, fanno riscontro le incursioni portate dall'esterno da popolazioni "pagane" come i Saraceni e gli Ungari e la costruzione di fortezze da parte dei grandi proprietari ecclesiastici e laici. Quest'ultimo fatto avvenne senza che vi soprintendesse una strategia militare complessiva, anche perché sembra dettato dall'esigenza di sicurezza delle popolazioni locali e dall'interesse dei grandi proprietari di avviare forme di controllo sulla vita associata in genere, preludendo perciò al processo di formazione della signoria territoriale.

L'incastellamento nell'Italia centromeridionale studiato da Del Treppo e dal Toubert determina una radicale e definitiva trasformazione dell'habitat, il che significa passaggio dall'insediamento sparso a quello accentrato, dissodamento di nuove terre, riorganizzazione fondiaria, creazione di nuovi villaggi ed espansione economica e demografica. Questo incastellamento ha perciò un significato economico e strutturale, ma con ripercussioni su tutti gli aspetti della società rurale. Gli altri moventi (militare, bisogno di sicurezza) vengono smontati e considerati tutt'al più dei pretesti che favorirono l'avvio delle trasformazioni.

Invece in Toscana e nell'Italia settentrionale l'incastellamento non aggiunse nulla di sostanzialmente nuovo all'habitat. Nel Nord esso ebbe spesso un movente militare e congiunturale, non pervenendo perciò a un risultato definitivo per quanto riguarda l'accentramento della popolazione.

Vi è poi il modello marchigiano. L'incastellamento marchigiano non sembra rappresentare una rottura con il passato e quindi anche con la precedente tradizione dell'insediamento fortificato. Ma, rispetto al Nord, vi sono diversità ambientali: assenza di pianure, molte colline, breve distanza fra costa e dorsale appenninica, paesaggio frammentato in piccole vallate fluviali, assenza di grandi centri urbani. Fu proprio il fattore geografico-ambientale a orientare verso l'incastellamento. Rispetto al Sud, nelle Marche continuarono comunque a funzionare piccole città quali centri coordinatori del proprio territorio.

Si incastellarono quindi piccoli nuclei già esistenti (centri curtensi, villaggi, chiese, vecchi castelli strategici), senza che ciò si traducesse automaticamente nell'accentramento della popolazione. I proprietari privati dei castelli non ebbero sufficiente potere coattivo per imporre la concentrazione della popolazione in un nuovo sito; potevano farlo con i loro dipendenti, ma non con i liberi proprietari. La presenza di piccoli proprietari, spesso associati in comunità di liberi, è un fatto rilevante per i futuri sviluppi dell'incastellamento marchigiano, nel cui ambito essi rappresentano una forza emergente.

In definitiva nei secoli X e XI, invece che una proliferazione di centri fortificati nati ex novo per iniziativa signorile, si verifica un'affermazione del concetto di castello in presenza di nuclei già esistenti.

Anche nella valle del Cesano il modello prevalente di castello è quello del villaggio fortificato d'altura. L'incastellamento è più intenso e precoce nella bassa Marca (Fermano e Ascolano), ma al Nord il Senigalliese costituisce un'eccezione. La stessa cosa può dirsi per i territori fanese e cagliese, quantunque qui l'incastellamento risulti meno incisivo.

Per quanto riguarda la cronologia del fenomeno, viene individuata una fase "curtense" (da curtis, azienda agricola divisa nei due settori della riserva padronale o dominicum e dei poderi affidati ai coloni o massaricium). Durante questa prima fase (900-1050) il castello svolge funzioni limitate all'aspetto economico-fondiario: a volte esso si innesta direttamente su una azienda curtense (potrebbe essere il caso di Orciano) oppure crea una propria azienda (Castel Girardo, Casteldimare, Frattola). Dal sec. XII il termine curtis passerà poi ad indicare il distretto castellano.

Ma prima le pertinenze di questo castello-azienda erano piuttosto modeste: proprio come nelle aziende curtensi esse sono costituite da un nucleo centrale e da poderi o altri aggregati di terre sparsi all'intorno; il tutto territorialmente non compatto, bensì frazionato.

Dal punto di vista materiale il castello curtense si presenta come un villaggio, fortificato ancora in modo rudimentale. L'elemento universalmente presente è il fossato, dietro il quale si innalzava uno spalto di terra battuta detto ripa o carbonaria; solo in rarissimi casi si parla di recinto in muratura; negli altri casi è probabile che esso fosse costituito da una palizzata o steccato di legno. Anche la menzione di una torre è molto rara: si trattava comunque di una torre di avvistamento, situata al centro o nel punto più alto dell'area interna. L'unico edificio in muratura, oltre alla torre e ad una eventuale residenza dei proprietari, era la chiesa, priva di cura d'anime, spesso privata, o dipendente da un monastero. Le capanne dei contadini erano normalmente di legno. Esistevano inoltre dei magazzini per i prodotti agricoli e le fosse per i cereali. Fuori del recinto si estendeva una prima fascia di orti, seguita dai vigneti e quindi dai seminativi. Più lontano, quasi sempre ai margini delle pertinenze del castello, si trovavano le selve, i pascoli e gli incolti, nei quali gli abitanti del castello esercitavano spesso diritti collettivi.

Attorno al 1050 si iniziano le trasformazioni che porteranno quasi ovunque al superamento del castello-azienda. Questo organismo comincia ad ampliare le sue funzioni alla sfera politico-amministrativa, potenziando nel contempo anche il suo ruolo economico e attirando nuova popolazione non più dipendente economicamente dai titolari del castello-azienda. Emerge così un castello principale, poiché non tutti i nuclei sono in grado di superare la fase curtense. Il castello principale finisce per assorbire i vicini più deboli, mentre la concentrazione della popolazione, non avvenuta prima in maniera coatta, si svolge ora spontaneamente.

I piccoli proprietari, gli artigiani e in genere gli uomini liberi esercitano un ruolo fondamentale nel determinare l'affermazione del castello principale e l'insuccesso di altri nuclei. Comincia intanto a formarsi un vero territorio di castello con l'annessione delle pertinenze dei castelli abbandonati o decaduti e di complessi fondiari distinti dal castello-azienda.

Il decastellamento è il contrario dell'incastellamento. Decastellare significa infatti "uscire dal castello, abbandonarlo". Questo fenomeno si era manifestato già prima della metà del sec. XI, ma è durante la fase di transizione 1050-1100 che raggiunge il suo punto cruciale: dopo questo picco gli abbandoni diminuiscono gradualmente di intensità.

Incastellamento e decastellamento sono due aspetti complementari della medesima vicenda, che consiste in un lento processo di formazione e stabilizzazione di una rete di insediamenti rurali su scala regionale, un processo che fece segnare parecchi insuccessi e ritorni all'indietro. Di norma più l'incastellamento è stato intenso più numerosi sono gli abbandoni. Nella valle del Cesano, sul totale dei castelli attestati nei secoli XI e XII ben il 74% risulterà abbandonato.

La causa principale del decastellamento è che ad un certo punto i castelli erano troppi e troppo vicini fra loro. Si trattava in molti casi di centri sorti in maniera troppo affrettata, con una cattiva scelta del sito, privi della necessaria base territoriale e di una organica aggregazione di quartieri agricoli, troppo vicini al castello emergente (o alla città) e perciò destinati ad essere da questo assorbiti.

E', pertanto, una specie di "selezione naturale della specie". Ma a volte l'abbandono è più apparente che reale, poiché vi è un continuo ricambio di centri, per cui uno viene rimpiazzato a poca distanza da un altro.

Nel complesso l'incastellamento ebbe successo e si rafforzò anche grazie al decastellamento che, comunque, superata la fase critica, si attenuò fino a scomparire nel tardo medioevo.

Secoli XII E XIII

Col passaggio alla seconda fase, ossia al castello evolutosi verso forme vicine a quelle della città, le fonti aprono maggiori spiragli sugli uomini e sulle comunità castellane, sulle loro condizioni sociali e sulle attività economiche.

Alla base dell'incastellamento vi è sicuramente il grande possesso fondiario: per organizzare un castello occorreva un sufficiente spazio coltivato, un'organica aggregazione di quartieri agricoli includente anche l'incolto; ciò comportava grossi investimenti da parte dei promotori dell'iniziativa, i grandi proprietari fondiari.

Ma questo non poteva bastare, se al castello non si aggiungeva l'elemento umano, ossia una popolazione che lo abita e che vi lavora. Perciò il signore laico o ecclesiastico cerca di attirarvi la popolazione circostante offrendo protezione e vantaggi materiali, un terreno all'interno della cinta su cui costruire l'abitazione, un pezzo di orto o un campo all'esterno, eventualmente anche il diritto di utilizzare alcune selve per la caccia, il pascolo, la raccolta dei frutti selvatici e del legname. In cambio gli abitanti, detti "castellani", si impegnano a svolgere dei servizi di comune utilità, come la manutenzione delle fortificazioni e i servizi di guardia alle mura e di perlustrazione nel territorio. Questi obblighi venivano fissati oralmente o mediante patti scritti, individuali o collettivi.

In alcuni casi esistevano fin dall'inizio dell'incastellamento o in epoca anteriore comunità di contadini liberi e di piccoli proprietari, uniti da comuni interessi e da antiche usanze riguardanti gli incolti. Qui la signoria rurale interviene successivamente, usurpando le terre comuni o limitandone i diritti collettivi, ma mai eliminandoli completamente. Sembra essere questo il caso di Mondolfo, castello che del resto non fu mai di un unico proprietario, né di un'unica famiglia di proprietari.

Comunque sia, l'incastellamento ottiene come risultato quello di rafforzare il senso comunitario di uomini che vivono in uno spazio ristretto esercitando gli stessi diritti e svolgendo gli stessi servizi, nonostante le differenti condizioni socio-giuridiche e le differenti attività dei singoli.

Nel frattempo la signoria, che nelle Marche era fondata su una ristretta base economica a confronto con la signoria dell'Italia centromeridionale, entra in crisi. Anzi, è la grande proprietà, insieme con la struttura curtense, ad andare in crisi. Nonostante certi meccanismi sociali e familiari (chiesa di famiglia, legami con i monasteri, fraterne, consorzi gentilizi, indivisibilità della terra), i loro beni - e quindi i loro poteri - si spezzettavano tra nuclei familiari discendenti dal medesimo ceppo, finendo per indebolire l'intero gruppo parentale. Anche i castelli appaiono in età comunale frazionati in quote parti.

D'altronde anche i monasteri, con i quali queste famiglie avevano stretto un rapporto privilegiato, decadono, perdendo parte del loro patrimonio fondiario a vantaggio di piccoli proprietari laici.

Per far fronte ad una società in rapida trasformazione occorreva pertanto un radicale cambiamento di strategia signorile. La risposta dell'aristocrazia, che aveva sostenuto il peso principale del processo di incastellamento, fu il comune. In altre parole le trasformazioni economiche e sociali, nonché il sorgere dei primi comuni cittadini, indussero molti signori marchigiani a compiere questa scelta, ossia ad agire all'interno dei comuni di città e dei comuni di castello, cercando di controllare i primi e organizzando in qualche caso i secondi.

Si sviluppa così il castrum comunale, soprattutto nel Fermano e, al Nord, nel Senigalliese. Anche dal punto di vista materiale questo castello assume delle forme proprie, assai simili a quelle della città. Si tratta del castello policentrico a struttura complessa, composto cioè da più nuclei (di norma due) che si riuniscono organicamente. Di solito a un nucleo originario tondeggiante, come a Mondolfo, si aggiunge un borgo esterno, il quale viene poi racchiuso entro una nuova cerchia. La porta principale a sud, sud-est e lo sviluppo del borgo nella stessa direzione sono dei casi "classici" nelle Marche. Dalla fine del sec. XII si cominciano a trovare nei documenti menzioni di domus, ossia di vere e proprie abitazioni in muratura, all'interno dei castelli.

L'urbanistica del borgo di Mondolfo, a confronto con quella del castello, potrebbe sembrare più spontanea. In realtà anch'essa è pianificata secondo esigenze militari: le file di case a schiera, che rinserrano il nucleo più antico seguendo le curve di livello, costituivano con il loro fronte posteriore una linea di difesa prima della costruzione della seconda cerchia. Entrambi i nuclei hanno la loro piazza, la loro chiesa e il loro palazzo: "segni" di due poteri almeno formalmente distinti: da un lato la signoria, dall'altro il comune.

La nuova fase dei castelli evoluti porta alla stabilizzazione della carta del popolamento, anche se si riscontrano nuove fondazioni, spesso votate al fallimento, e casi di abbandono. I centri attualmente esistenti nella valle del Cesano corrispondono ai castelli principali emersi dopo la metà del sec. XI. Nel Duecento, poi, invece che nuove fondazioni o abbandoni "secchi" si avranno solo piccoli aggiustamenti, ossia spostamenti di sito, unioni di nuclei vicini, ampliamenti dell'area castrense e trasferimenti al suo interno di pievi e chiese. E' così che Piagge subentra a Lubacaria e Cerasa a Querciafissa. Un caso ben documentato è quello di Frattola-Monterado: qui il travaso di popolazione avviene nel 1267 per iniziativa di 23 capifamiglia e col consenso di s. Albertino priore di Fonte Avellana. Frattola cede a Monterado anche la funzione di sede periferica dell'amministrazione dei beni avellaniti.

L'incastellamento determina pure dei cambiamenti profondi nell'organizzazione ecclesiastica. Alla pieve isolata in campagna subentra la pieve di castello oppure una chiesa detta "parrocchia", originariamente dipendente dalla pieve, e in seguito ad essa equiparata, perciò dotata di cura d'anime ed esercitante gli stessi diritti della vecchia chiesa matrice (amministrazione dei sacramenti, sepoltura dei morti ecc.).

Per quanto riguarda i dati di demografia storica, questi sono piuttosto tardi e riguardano solo pochi centri cesanensi. Dal confronto col resto della regione si ricava che i castelli avevano alla fine del sec. XII una popolazione di poche centinaia di abitanti (100-500). Per il 1279, anno che cade nella fase di massimo incremento demografico dell'Occidente medievale, si calcola un numero di 160 fuochi (nuclei familiari) per Mondolfo, 106 per Pergola, 106 per Montesecco e 480 per Corinaldo. Si andava da un minimo di 400 abitanti (Pergola e Montesecco) a un massimo di 2.000 (Corinaldo). La densità abitativa dello spazio intramurano non doveva superare le 200 unità per ettaro.

La presenza a Orciano di un notaio (Petrus tabellio) verso la metà del sec. XII dà un’idea della non uniforme natura della popolazione castellana, a volte distinta in maiores e minores, ossia signori e piccoli proprietari, ai quali si aggiungevano fino allo scorcio del Duecento individui non liberi sottoposti alla signoria dei maiores e delle chiese. I castellani dei comuni di castello sono ormai di fatto equiparabili ai cives dei comuni cittadini.