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Scheda
: 10.08.2005
: 18.09.2006

La cucina si trovava, quasi sempre, al primo piano della casa colonica; in certe realtà essa, però, era ricavata a pian terreno e, spesse volte, comunicava direttamente con la stalla. La sua ampiezza era adeguata, in genere, al numero dei membri della stessa famiglia. Il punto principale di questa era il camino. In antichi documenti si notano i termini fuoco o fumante; in tempi a noi più vicini la tassa di famiglia era chiamata focatico. Fuoco, quindi, sta ad indicare famiglia; questa, infatti, si riuniva intorno al fuoco per riposarsi dalle fatiche, per riscaldarsi, per parlare e discutere, per raccontare fatti, per dedicarsi ai passatempi e per recitare il rosario. La base del camino è l’arola. La sua fattura spesso è rotonda in maniera da ospitare più sedie possibili; l’altezza è di circa venti centimetri. Sopra l’arola erano sistemati, in alcuni casi, il fornello di ghisa e un ciocco per far sedere i più piccoli. Sotto la cappa, al centro, era appesa al muro la catena per appendere il caldaro; essa, come i Lari, simboleggiava la parte più intima della famiglia; pertanto la catena si spostava con la famiglia durante le mute – i traslochi-. Alla catena si attribuivano poteri divinatori, tanto che si gettava all’esterno della casa quando imperversava un violento temporale. La mensola che sostiene la cappa del camino, in alcuni casi, era ornata con carta colorata, a volte da essa pendeva un telo di iuta per favorirne il tiraggio. Vicino al camino, appeso al muro, trovava posto la salarola - il portasale-. Invece il mortale – il mortaio- di legno o di pietra col suo pestasale, il lume ad olio, a petrolio o ad acetilene, la bugia, i fulminanti, erano posati sopra la mensola insieme ai macinini del pepe e dell’orzo mondo, del ferro da stiro, del pettine e della sveglia.
A fianco del camino, nell’angolo fra due pareti, si deponevano la legna grossa e le fascine. I treppiedi, di varia misura, erano appesi agli stipiti interni del camino stesso con la graticola e il servitore della padella, un treppiede di ferro, più alto degli altri da appoggiare direttamente sulla fiamma. Tegami e pignatte di coccio erano appoggiati su una mensola, fissata in una parete. Tutti, contadini e casanolanti, possedevano il caldaro di rame; c’era, inoltre, chi aveva la cuccuma per il caffè d’orzo, il brustolino - il tostaorzo-. Lo scaldaletto, anch’esso di rame, serviva per riscaldare i giacigli; invece, la monaca era di coccio e consisteva in un piccolo braciere con manico da porre nel letto insieme al prete, un trabiccolo di legno per tenere sollevate lenzuola e coperte. Certe volte, per intiepidire i letti si usava anche un mattone messo a scaldare sotto la brace e avvolto poi in un panno di lana.
Vicino alla finestra era sistemato l’acquaio. Esso era realizzato, comunemente, in pietra e nel suo incavo trovava posto una bacinella di terracotta invetriata; l’acqua usata scendeva, tramite un foro, direttamente sulla base, da qui era convogliata verso il pertugio praticato nel muro, il quale, con l’ausilio di un coppo, la scolava all’esterno. Su un ripiano, a fianco dell’acquaio, stavano gli orci di terracotta ricoperti da un telo bianco.
Sul muro, sopra il lavello, erano appesi lo scolapiatti di legno e lo scolapasta di vimini; in certi casi, piatti, reali, fiamminghe decorate e di varia misura e forma, bicchieri, tegami d’alluminio, coperchi erano sistemati su dei ripiani della credenza a muro, abbelliti da carta debitamente sfrangiata e traforata.
Al centro della cucina era piazzato il tavolo rettangolare, le cui dimensioni erano, per lo più, proporzionate al numero dei membri della famiglia; se queste risultavano insufficienti, i bambini sedevano sull’arola; le donne, invece, stavano, quasi sempre in piedi per servire gli uomini e, spesso, mangiavano sedute appoggiando il piatto sul grembo. Nel cassetto del tavolo erano sistemate le posate: cucchiai e forchette: nella famiglia mezzadrile, a tavola, non si faceva uso di coltelli. Al centro del tavolo pendeva, spesso, da una trave il lume a petrolio di porcellana. Ai lati del tavolo, di solito, erano disposte due panche e poche sedie impagliate, costruite in casa dagli uomini durante la cattiva stagione, oppure, in certi casi, dal sediaro girovago, proveniente da altre regioni.
La mattera - la madia- era di legno. La parte essenziale di questa era la vasca, la matrella, per deporvi il fermento e per impastarvi il pane; essa era sormontata dalla spianatoia per stendere la sfoglia e la polenta. Nella madia si conservavano la radimàttera – la radimadia - e il rasagnolo – il lasagnuòlo -. All’interno della conca, nel periodo intercorso fra una panificazione e l’altra, si conservava il lievito, adagiato su un piatto con un pizzico di sale. La tajapèna o tajapana - il tagliapane- stava sopra la spianatoia e sotto il coperchio. Sotto la conca scorreva un cassetto per i canovacci, le parananze, gli zinali, i mantili e le tovaglie. In basso c’era una piccola credenza a due ante, in cui erano riposti la grattachescia o grattacascia– la grattugia-, il battlard o la battlarda – il tagliere- e altri utensili.
Ai lati della madia erano sistemati da una parte il sacco della farina con la sèssola e dall’altra il buzzo di legno per raccogliere la crusca. In alto, sorretta da due barbachèn o barbacan – i beccatelli - , era collocata una tavola, che serviva per posare e conservare le file del pane; i filoni erano disposti in posizione obliqua e ricoperti da un panno bianco. Nei pressi della madia, appesi al muro stavano gli stacci di vario formato per le farine di grano e di granturco.

Emilio Pierucci


L'arola di forma rettangolare (nelle case coloniche piccole) o semicircolare (nelle case grandi), l'arola era delimitata ai due lati da due muri di spalla. Era sovrastata dalla cappa del camino che era circondata da una mensola sporgente (usata per appoggiarvi la scatola dei fiammiferi, il lume a petrolio e altre cose). Una sbarra di ferro fissata all'inizio della canna fumaria sosteneva la catena di grossi anelli circolari terminante con un gancio, al quale veniva appeso il caldaro (o la caldara, più grande) di rame. Sopra il piano dell'arola veniva acceso il fuoco per il riscaldamento e la cottura delle vivande.

Nell'arola erano collocati vari recipienti.

Il caldaro era usato per scaldare l'acqua, per cuocere la pasta, per cuocere le verdure, per fare la polenta, per fare il pastone per gli animali (aveva un coperchio di rame)

La caldara era usata per far bollire grosse quantità d'acqua occorrenti per fare il bucato, per fare il bagno nel mastello, per pelare il maiale appena scannato (aveva un coperchio di lamiera). Si usava anche per far bollire il mosto o per il travaso del mosto o del vino.

I tegami di terracotta erano smaltati; si usavano per la cottura delle verdure, della carne in umido, delle frattaglie e del sangue del maiale (avevano il coperchio di terracotta o di metallo).

Le pignatte di terracotta smaltata servivano per preparare il brodo di carne, per cuocere i fagioli con le cotiche, per fare la pasticciata (avevano il coperchio di terracotta che, nella cottura della pasticciata, era sostituito da un piatto piano contenente un dito di vino rosso).

Il tegame di rame smaltato era il recipiente più usato (la stagnatura veniva rifatta periodicamente dallo stagnino); serviva per cuocere carne in umido (pollo, oca, coniglio, agnello), stoccafisso con patate, brodetto di pesce. Col "fuoco sotto e sopra" (brace sotto il tegame e sopra il coperchio) sostituiva il forno per la cottura delle sardine gratinate, delle nocchie ripiene, delle melanzane e dei pomodori ripieni.

I tegami erano sostenuti da treppiedi di ferro di vario diametro. Un treppiede più alto sosteneva il panaro (un disco di terracotta) usato per cuocere la crescia (piadina) o per abbrustolire i semi di zucca. La griglia era molto usata per la cottura del pesce, delle salsicce, dei fegatelli, delle bistecche (costole di maiale).

Fra la brace e la cenere calda si cuocevano cipolle, patate, pomodori interi, uova, olive fresche, castagne, fave e ceci, chiocciole "nature" col sale. La legna grossa (rami e tronchi) veniva bruciata solo quando serviva la brace o per cotture richiedenti tempi lunghi (fagioli, brodo, pasticciata). Per la cottura nei caldari si utilizzava la fiamma ottenuta bruciando paglia, canne secche, gambe di granoturco (cannabuca), radici di erba medica pettinate dall'estirpatore, tralci di vite. Come combustibili economici e di lunga durata per il solo riscaldamento si usavano tutoli di granoturco, sansa di olive, granelli residui della molitura dei tutoli parzialmente sgranati (i granelli erano detti "tutlina"), rizomi di canne ("òcne"), bruscoli di canapa, vinacce secche, ceppi delle siepi di marruga. Dai combustibili legnosi si otteneva anche brace leggera, per cotture brevi.

La cenere veniva sparsa per concimare l'orto o usata per fare il bucato ("bucâta"), dati i poteri detergenti dei sali minerali che contiene e che finivano nel ranno ("rana"). D'inverno la brace veniva messa nello scaldino ("scaldalèt") che veniva passato fra le lenzuola, prima di coricarsi. Il mattone caldo, avvolto fra panni vecchi, serviva da tenere sul petto (e/o sulla schiena) per curare la tosse (meno usato era il sacchetto di cenere calda).

Entro la cappa del camino si appendevano ad affumicare i budelli del maiale non utilizzati per gli insaccati.

Sull'arola venivano inceneriti quasi tutti i rifiuti non utilizzabili per l'alimentazione degli animali domestici e non adatti a produrre letame.

Il fuoco veniva acceso coi fiammiferi di legno ("fulminant" o "furminante"), detti "zolfanelli" perché un tempo, sotto la capocchia, erano imbevuti di zolfo fuso. Per riattizzare il fuoco, risparmiando i fiammiferi, si usavano i "sulfanej" (zolfanelli) fabbricati in casa con bruscoli di canapa macerata bagnati nello zolfo fuso, che si infiammavano una volta messi a contatto con la brace.

Celso Mei










Cucina, primi del 1900.
Foto Eusebi

Cucina (primi del 1900).
Foto Eusebi

Cucina di una casa di operai (da AMADUZZI 1984).

Cucina di una casa di operai (da AMADUZZI 1984). In fondo la credenza con stoviglie in mostra (1930 circa).

Cucina di casa di marinai (primi del 1900). Illustrazione del libro di Giulio Grimaldi "Maria Risorta. Romanzo marinaresco" (Torino, 1908).

Cucina di una casa di operai (1930 circa). Sono visibili appesi al muro in fondo l'''altarino'' con immagine sacra e a sinistra tegami e pentole, a destra la credenza e la madia (da AMADUZZI 1984).