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Scheda
: 01.08.2005
: 12.09.2006
Il bucato in casa

La biancheria (lenzuoli, federe, tovaglie, asciugamani…) si lavavano a mano con acqua e sapone.

I panni, poi, si disponevano a strati nel mastello (che aveva un foro in basso, chiuso con un tappo) e si ricoprivano con un telo, il "cendrator", colmo di cenere presa dal focolare.

Bollita l'acqua nel paiolo, la si versava nel mastello. L'acqua bollente e la cenere, filtrate attraverso il "cendrator", formavano il ranno che, per i principi attivi della cenere, sbiancava i panni. Questi si lasciavano in ammollo per qualche ora o per tutta la notte. Infine si faceva uscire il ranno dal foro, in fondo al mastello.

Questo liquido era torbido, viscoso, di colore giallognolo e non veniva gettato, bensì utilizzato per lavare pavimenti… e per pulire teglie di rame che diventavano spendenti!

La lavandaia

Lavare i panni sporchi, in modi diversi, ha sempre usato. Quando non c'erano né la lavatrice, né le lavanderie meccanizzate, le donne facevano il bucato in casa, nel mastello, o nel pubblico lavatoio o, nella buona stagione, al fiume o all'Arzilla.

Il primo lavoro da affrontare era quello di attingere acqua dal pozzo. Mediante un secchio fermato al capo di una lunga corda fatta scorrere attorno ad una carrucola, appesa al centro del pozzo, si estraeva l'acqua, oppure, quando era possibile, si utilizzava l'acqua piovana, migliore, per lavare, di quella del pozzo.

La lavandaia poi metteva a bagno, in acqua e lasciava, per alcune ore (dalla sera alla mattina) gli indumenti da lavare, separando i bianchi da quelli colorati. Il lavaggio richiedeva "olio di gomiti", cioè strofinare con energia, voltare e rivoltare i panni usando la spazzola e poco sapone.

Dopo la prima "passata" seguiva la risciacquatura in acqua pulita per i panni colorati; la biancheria si poneva in un mastello e si ricopriva con un telo (cendrador) su cui si versava acqua bollente con cenere, per solito di sera. Al mattino seguente, fatta uscire dal mastello l'acqua mista a cenere, "la ranna", che sarà riutilizzata per altri lavaggi, si risciacquavano i panni tolti dal mastello del "bucato" e poi distesi al suolo o appesi a corde tese ad una certa altezza da terra.

Era caratteristico e gradevole il profumo della biancheria asciugata dopo il bucato.

Per le donne che avevano un'occupazione fuori casa, il bucato era un lavoro straordinario nelle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio.

Le lavandaie di mestiere erano robuste e dalle braccia muscolose, andavano a lavare presso l'abitazione dei clienti o nei pubblici lavatoi ove erano solite, sciacquando e risciacquando, intonare canzoni e stornelli, di cui si è perduta la memoria. Il mestiere della lavandaia era molto faticoso, specie nei mesi freddi.

"La donna di casa" per i tempi che correvano, nei giorni del bucato riceveva dall'uomo un trattamento di riguardo, di maggiore attenzione e considerazione, così almeno riferiscono testimoni, tuttora viventi, di quegli anni ormai lontani.










Lavandaie alla foce dell'Arzilla (Fano) che lavano e imbiancano al sole i "truscei" (teli) (da AMADUZZI 1984).

Lavandaia nel quartiere dei "Piattelletti" di Fano, 1965 (da AMADUZZI, 1987).

Lavandaia, 1967.
Luciano Poggiani

Mastello.
Luciano Poggiani