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: 10.01.2006
: 10.01.2006

(Fig. 17). Morfologie a cuestas nella media valle del Cesano (foto D. Savelli). All’altezza di Monterolo-San Vito sul Cesano, il versante in sinistra idrografica della valle del Cesano è caratterizzato da una morfologia collinare, con creste e cime prominenti in genere corrispondenti con i calcari della formazione del Bisciaro, più resistenti all’erosione rispetto alle unità incassanti. Il modellamento del locale paesaggio ha quindi risentito in modo determinante dell’azione selettiva dei processi erosivi: tutto ciò si esprime in paesaggi collinari dominati da forme litologico-strutturali, abbondanti e ben sviluppate anche se non sempre di immediata lettura da parte di un occhio poco allenato. L’esempio più diffuso di forme a controllo litologico-strutturale è quello delle cosidette dorsali omoclinali (d nell’immagine), delle quali le cuestas sono una variante su strati a debole inclinazione. Si tratta di piccole dorsali a profilo asimmetrico nelle quali il fianco meno ripido corrisponde all’incirca con superfici di stratificazione, mentre quello più ripido è inciso corrisponde con le testate di strato

(Fig. 18). Monte Santa Croce (foto D. Savelli). Fra le forme lito-strutturali che caratterizzano l’area di Monterolo, spicca il “relitto strutturale” di Monte Santa Croce, una fra le forme più caratteristiche della media valle del F. Cesano. Si tratta di un rilievo tabulare bordato da ripide scarpate e dirupi impostato sui calcari della formazione del Bisciaro a stratificazione debolmente inclinata verso sud-ovest. La corrispondenza fra la superficie sommitale semipianeggiante e l’andamento delle superfici di strato evidenzia il controllo della stratificazione su questa forma del paesaggio, permettendo di considerarlo come un testimone dello smantellamento del territorio circostante da parte dell’erosione. La debole, ma apprezzabile inclinazione della sommità semipianeggiante (che la distingue da forme come le mesas e i butte impostate su strati sub-orizzontali) permette di considerare Monte Santa Croce un “cuesta outlier”, cioè la porzione di una antica cuesta separatasi dal corpo principale a causa del progredire dei processi erosivi. Le ripide scarpate che si formano sui calcari del rilievo tabulare vengono erose e arretrano soprattutto per fenomeni di franamento collegati alla discontinuità litologica corrispondente (alla base dei dirupi) al passaggio fra i calcari del Bisciaro, rigidi, e le sottostanti marne della Scaglia Cinerea, a comportamento plastico.

(Fig. 19). Morfologia di frana nei pressi di Madonna del Piano (foto L. Pellegrini). La parte medio-bassa della valle del Cesano è impostata su terreni pliocenici, prevalentemente argillosi e in genere ben stratificati. Questa particolare litologia, combinandosi con le discontinuità rappresentate dalle superfici di stratificazione, favorisce lo sviluppo di franamenti di vario tipo, estensione e profondità, tanto che al di fuori delle piane di fondovalle, la morfologia di frana diventa il carattere geomorfologico dominante paesaggio. Spesso il franamento si esprime inizialmente con blande traslazioni e/o debole rotazione di insiemi di strati argillosi che iniziano a scorrere lentamente sui versanti. L’evidenza nel paesaggio del movimento è molto spesso rappresentata da gradonature (come quelle nell’immagine), prodotte dallo scorrimento differenziato “strato su strato” delle rocce argillose sotto il controllo dell’assetto della stratificazione (giacitura degli strati). Le forme gradonate in questione esprimono la mobilizzazione delle rocce costituenti il versante e, pertanto, una dinamica di frana molto recente o in atto. Non vanno certamente confuse con gradonature di forma simile (convergenze morfologiche), prodotte dall’azione selettiva dell’erosione su rocce alternativamente tenere e resistenti (p. es. alternanze di argille e arenarie), senza che di per sè esprimano condizioni di relativa instabilità del versante sulle quali si trovano.

(Fig. 20). Morfologia di frana nei pressi di Castelvecchio (foto D. Savelli). Col procedere del franamento, le rocce argillose mobilizzate si frantumano sempre più minutamente, tendono a rimescolarsi in modo talora caotico e tendono a fluire verso il basso, arrestandosi al piede dei pendii o sul fondo di valloni. Nel paesaggio, si perde la relativa regolarità delle gradonature che caratterizzano i fenomeni ancora poco evoluti e vengono a formarsi ondulazioni discontinue, contropendenze e concavità nelle quali il ristagno d’acqua può talvolta creare piccole aree acquitrinose. L’azione antropica di aratura e, talora, di livellamento con mezzi meccanici, nei fenomeni minori tende a eliminare queste forme e tende comunque ad attenuarle (come nell’immagine) nel caso dei franamenti di dimensioni significative.

(Fig. 21). I terrazzi antichi nei pressi di Pergola (foto D. Savelli). Nel bacino del F. Cesano compaiono tutti gli ordini dei terrazzi fluviali tradizionalmente riconosciuti nel territorio marchigiano (1°, 2°, 3° e 4° ordine). La loro distribuzione è tuttavia spesso frammentaria e, in una data area, è in genere possibile identificare non più di due o tre dei quattro ordini presenti. Le colline comprese fra il versante di destra del F. Cinisco e quello di sinistra del F. Cesano, alle spalle del centro storico di Pergola, sono una delle poche località che conservano l’intera serie dei terrazzi e dei depositi alluvionali loro associati. Pergola sorge sull’ampia spianata corrispondente alla sommità delle alluvioni terrazzate del Pleistocene superiore (3° ordine dei terrazzi). Più in alto, si apre una seconda ampia spianata (sulla cui terminazione orientale poggia il cimitero di Pergola) corrispondente alla sommità dell’accumulo di ghiaie alluvionali della fine del Pleistocene medio (2° ordine dei terrazzi, t2 nell’immagine). Il crinale, che si estende a nord-ovest di quest’ultima spianata, appare segmentato in due principali tratti rettilinei e suborizzontali, a ciascuno dei quali corrisponde un deposito alluvionale ghiaioso. Si tratta di ciò che resta dei terrazzi più antichi (1° ordine dei terrazzi “tradizionali”), attribuibili al Pleistocene medio, e per quali è stata recentemente riconosciuta la appartenenza a due cicli di terrazzamento principale (t1a e t1b dell’immagine).

(Fig. 22). La valle del Cesano all’altezza di Castelleone di Suasa (foto L. Pellegrini). Nel suo tratto medio inferiore, il fondovalle del F. Cesano è occupato da un’ampia piana alluvionale che, almeno in prossimità dei margini esterni, coincide con la sommità dei depositi alluvionali del Pleistocene superiore (t3 nell’immagine). Sui versanti, a luoghi compaiono lembi dei terrazzi più antichi (t2) Procedendo dai versanti verso l’attuale alveo, si osservano gradini di varia altezza (g) e superfici debolmente inclinate che raccordano gradualmente la sommità dei depositi del Pleistocene superiore con il canale fluviale attuale (f). Questi elementi sostituiscono verso valle le ripide scarpate di 10-20 m di altezza, che nelle aree più a monte separano dal fondovalle la superficie pensile dei terrazzi del 3° ordine. Come queste scarpate, esprimono il progressivo approfondimento della valle: tuttavia le minori altezze indicano, da un lato una minor incisività del fenomeno e, dall’altro, la presenza di importanti fasi di deposizione alluvionale che interrompono l’approfondimento vallivo. L’architettura della piana di fondovalle viene così a essere composita, costituita da ghiaie, sabbie e limi del Pleistocene superiore variamente e ripetutamente intaccati ed escavati durante l’Olocene dall’erosione del F. Cesano e variamente e ripetutamente ricoperti da un mosaico di corpi alluvionali minori, a loro volta in gran parte reincisi e terrazzati. Le alluvioni del tradizionale 4° ordine dei terrazzi (t4 nell’immagine), di età olocenica, ben rappresentate soprattutto nei segmenti medio-inferiori delle aste vallive, appartengono proprio a questo complesso insieme di fasi minori di erosione e accumulo. A differenza dei depositi presenti sui terrazzi del 1°, 2° e 3° ordine, la loro origine non è legata a fasi glaciali, ma a un complesso insieme di cause diverse, climatiche, connesse col sollevamento del territorio o di parte di esso, antropiche e altre.

(Fig. 23). Depositi alluvionali del Pleistocene superiore nei pressi di Madonna del Piano (foto D. Savelli). I depositi alluvionali pleistocenico-olocenici del fondovalle del F. Cesano affiorano nei rari tagli naturali presenti lungo l’attuale corso fluviale e negli sbancamenti di numerose cave, sia attive che inattive. Le caratteristiche dei depositi e i materiali in essi contenuti, a prescindere dalla complessità degli stessi, sono in grado di fornire preziose informazioni sui regimi dei corsi d’acqua, sul clima e sulla vegetazione al tempo dell’accumulo, oltre che sull’età dell’accumulo stesso. Proprio grazie ai caratteri osservati in affioramento e all’analisi di resti lignei e altri materiali contenuti nei depositi, è stato possibile affinare il quadro delle conoscenze sulla complessa storia evolutiva del fondovalle, riconoscendo tutta una serie di fasi di accumulo ed erosione che dai tempi più recenti ci conducono indietro, alle epoche medioevale e romana, all’Olocene “antico” e al Pleistocene.

(Fig. 24). Erosione di sponda nei pressi di Monte Porzio (foto D. Savelli). In corrispondenza di un’ansa, la corrente fluviale lambisce la sponda esterna scalzandola (erosione di sponda) e determinando l’ampliamento dell’ansa stessa. Nella bassa valle del F. Cesano questo processo, combinandosi con la tendenza generalizzata del canale attivo all’approfondimento, ha portato a giorno la base della spessa coltre alluvionale del Pleistocene superiore e, con essa, i numerosi resti lignei (in parte anche radicati) in essa contenuti.

(Fig. 25). I depositi alluvionali del Pleistocene superiore all’altezza di San Vito sul Cesano (foto D. Savelli). Durante la fase fredda del Pleistocene superiore (ultimo glaciale), il F. Cesano accumulò una pila di notevole spessore (25-35 m) di ghiaie, sabbie e limi. La datazione al radiocarbonio di questi resti ci fornisce una scansione dei tempi e fasi di accumulo. Per la base dei depositi si ottengono età >44.000 anni, cioè più antiche del limite massimo di risoluzione per datazioni eseguita con metodi “tradizionali”; stime eseguite con metodi geomorfologici indiretti, indicano comunque per l’inizio dell’accumulo età non più antiche di 50-55.000 anni. In questa posizione si collocano i numerosi resti di conifera radicati in sedimenti fluviali limoso-argillosi da tempo noti per l’area di Monte Porzio, ma presenti anche in altre zone. Proprio l’affioramento all’altezza di San Vito sul Cesano, rappresentato nell’immagine, conteneva nel suo livello limoso-argilloso basale due grossi tronchi radicati. I numerosi resti lignei rinvenuti nella parte medio-inferiore dell’accumulo alluvionale forniscono poi età radiocarbon varie, comprese fra i 42-40.000 anni (porzione inferiore) e i 33-32.000 anni (porzione intermedia). La parte alta dell’accumulo del Pleistocene superiore non è invece databile a causa della mancanza sia di grossi reperti lignei, sia di resti carboniosi in quantità sufficiente. Di nuovo stime su base sedimentologica e geomorfologica, permettono comunque di attribuire all’insieme dei depositi che costituiscono la porzione sommitale età comprese fra i 28.000 e i 18.000 anni circa. Dopo queste ultime fasi, il F. Cesano inizia a incidere in sempre più in profondità questi depositi. L’incisione non è tuttavia continua, ma interrotta da tutta una serie di stasi e fasi di accumulo minore, testimoniate in affioramento da corpi alluvionali poggianti in discontinuità sui precedenti e, sulla superficie, da un complesso insieme di gradini, superfici inclinate e terrazzi minori. Ancora, i resti lignei sono fonte di preziose informazioni sulla successione degli eventi, fornendo età radiocarbon che testimoniano varie, importanti fasi di attività fluviale olocenica, fra le quali spicca un episodio recente, collocabile fra il IV e il V secolo a. D., che coinvolge anche Suasa e altri siti archeologici.

(Fig. 26). L’alveo del F. Cesano a valle di San Michele al Fiume (foto D. Savelli). L’immagine, del 1991, evidenzia un letto ghiaioso mobile, con tracciato multicanale del corso d’acqua e scarsa vegetazione erbacea sulle barre. La situazione, caratteristica di corsi d’acqua ad alta energia, testimonia attività di piena importanti, con notevole mobilizzazione del carico grossolano trasportato sul fondo. Negli anni successivi, questa conformazione si è persa: le barre ghiaiose sono state gradualmente ricoperte di sedimento limoso e colonizzate da vegetazione, a testimoniare condizioni di minor energia e minor efficienza delle piene. Con gli eventi degli inverni 2004 e, soprattutto, 2005, sembra di assistere ad una nuova inversione di tendenza, col locale recupero di conformazioni simili a quella del 1991.










Fig. 17. Morfologie a cuestas nella media valle del Cesano (foto D. Savelli)

Fig. 18. Monte Santa Croce (foto D. Savelli)

Fig. 19. Morfologia di frana nei pressi di Madonna del Piano (foto L. Pellegrini)

Fig. 20. Morfologia di frana nei pressi di Castelvecchio (foto D. Savelli)

Fig. 21. I terrazzi antichi nei pressi di Pergola (foto D. Savelli)

Fig. 22. La valle del Cesano all’altezza di Castelleone di Suasa (foto L. Pellegrini)

Fig. 23. Depositi alluvionali del Pleistocene superiore nei pressi di Madonna del Piano (foto D. Savelli)

Fig. 24. Erosione di sponda nei pressi di Monte Porzio (foto D. Savelli)

Fig. 25. I depositi alluvionali del Pleistocene superiore all’altezza di San Vito sul Cesano (foto D. Savelli)

Fig. 26. L’alveo del F. Cesano a valle di San Michele al Fiume (foto D. Savelli)