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: 10.01.2006
: 10.01.2006

(Fig. 1). Lo spartiacque del bacino del Cesano sulla dorsale del Catria (foto D. Savelli). La testata del Torrente Cinisco viene a contatto con quella del Torrente Bevano nell’ampia sella interposta fra i picchi di Monte Catria e Monte Acuto, definendo localmente lo spartiacque di superficie fra il bacino del Cesano (sulla sinistra) e quello del Metauro.

(Fig.2). La dorsale del Catria (foto D. Savelli). La dorsale Catria-Nerone, coincidente con la maggior struttura anticlinalica dell’Appennino nord-marchigiano, è bordata sul suo fianco nord-orientale da una serie di faglie inverse emergenti in superficie. Queste strutture sono l’espressione della tettonica compressiva che, tra il Miocene superiore e l’inizio del Quaternario, ha ripiegato e rotto le rocce che costituiscono la dorsale, accavallandole sui terreni e sulle strutture adiacenti. Sulle pendici di Monte Catria, tra Frontone e Isola Fossara, le faglie in oggetto hanno un forte risalto nel paesaggio, manifestandosi soprattutto con scarpate subverticali che da altezze di alcune decine di metri passano (fra Fonte Avellana e Isola Fossara) a dirupi rocciosi alti anche alcune centinaia di metri. L’immagine evidenzia proprio la serie di dirupi (sullo sfondo) che caratterizza il versante nord-orientale della dorsale del Catria. Sulla sinistra si staglia la grande scarpata di Isola Fossara, al centro risaltano i dirupi sovrastanti Fonte Avellana e sulla destra sono parzialmente visibili quelli dell’area di Caprile. In primo piano si osserva un particolare della complessa morfologia che caratterizza la dorsale anticlinalica minore che, da Frontone a Serra S. Abbondio, corre immediatamente a ridosso della dorsale del Catria e sulla quale quest’ultima tende ad accavallarsi.

(Fig. 3). La rupe alle spalle del monastero di Fonte Avellana (foto D. Savelli). L’imponente scarpata rocciosa che costituisce il versante del Catria sovrastante il monastero di Fonte Avellana è l’espressione morfologica del sistema di faglie inverse che corre lungo il fianco nord-orientale della dorsale. Il dirupo, ben visibile dalla tortuosa strada sterrata che lo attraversa inerpicandosi dai pressi del monastero di Fonte Avellana sino alla vetta di Monte Catria, è costituito per la maggior parte dai calcari selciferi stratificati della formazione della Corniola (Giurassico inferiore). L’azione selettiva dell’erosione, aggredendo maggiormente le rocce più tenere poste a nord-est della dorsale e “appoggiandosi” a superfici di discontinuità quali, appunto, la superficie di faglia (f) o superfici di stratificazione (s), ha modellato il dirupo. La parte bassa del dirupo coincide con la superficie della faglia, indicando che l’erosione l’ha portata a giorno in tempi relativamente recenti e non l’ha ancora rimossa. La porzione superiore, invece, mostra una scarpata che, seppure allineata con la faglia e, pertanto, a essa chiaramente legata, è vistosamente arretrata rispetto alla faglia stessa a causa di un’erosione piuttosto progredita. Pur essendo possibile che, almeno nelle fasi iniziali, la scarpata sia stata prodotta direttamente dal fagliamento (scarpata di faglia), la sua evoluzione è in seguito proseguita per semplice asportazione erosiva dei terreni a cavallo della discontinuità rappresentata dalla faglia (scarpata di linea di faglia).

(Fig. 4). Circo glacio-nivale sul versante nord-orientale di Monte Catria (foto D. Savelli). Nelle zone montane più elevate del bacino del Cesano, le grandi variazioni climatiche che hanno contraddistinto la seconda metà del Quaternario hanno avuto una importanza determinante sia nel produrre drastici cambiamenti ambientali, sia nel dar forma ai paesaggi. Durante le fasi glaciali, la catena appenninica ha conosciuto una certa espansione dei ghiacciai, tanto che tracce glaciali sono note da lungo tempo nelle montagne più alte dell’area marchigiana (Monti Sibillini e Monti della Laga), che raggiungono quote di oltre 2.400 m. Di recente, sono state riconosciute anche numerose tracce di vari apparati glaciali che, verso la fine del Pleistocene, si svilupparono sui principali rilievi delle Marche settentrionali fino a quote sensibilmente inferiori ai 2.000 m. Uno degli esempi più evidenti e meglio documentati è quello del Ghiacciaio del Bevano, che si è sviluppato alle spalle di Chiaserna, sul versante sud-occidentale del massiccio del Catria, arrivando a lambire l’attuale spartiacque del bacino del Cesano. Più circoscritte, ma altrettanto significative sono le tracce glaciali e di modellamento glacio-nivale nelle zone più elevate del massiccio del Catria di pertinenza del bacino del Cesano. Fra queste spicca l’ampio e regolare anfiteatro naturale che si apre proprio sotto la vetta del Catria alle spalle della loc. il Pluviometro. I principali processi erosivi responsabili della formazione di anfiteatri naturali in ambiente montano, infatti, sono proprio quelli glaciali (testate di apparati glaciali), nivali (ampliamento e coalescenza di nicchie di nivazione) o il combinarsi nel tempo degli stessi. Il circo, impostato sui calcari della formazione della Maiolica, è rappresentato da una ripida scarpata semicircolare di contorno piuttosto regolare che, a partire da una quota di 1.650 m circa, descrive un anfiteatro naturale di circa 500 m di ampiezza. La porzione interna del circo è occupata da detriti recenti relativamente minuti che ricoprono ammassi detritici più grossolani, ad assetto caotico, caratterizzati da grossi blocchi frammisti a materiale più fine, verosimilmente connessi con processi glacio-nivali al termine dell’ultima fase glaciale. Il circo considerato è caratterizzato da forme particolarmente fresche (si osservano varie nicchie di nivazione ancora attive, alcune delle quali visibili nell’immagine proposta) e ben sviluppate, tanto da farne uno degli esempi più significativi dell’Appennino nord-marchigiano.

(Fig. 5). Frana di crollo sul versante nord-orientale di Monte Acuto (foto D. Savelli). Attualmente, le zone montane sono soggette a processi erosivi spesso connessi con la stabilità relativamente precaria dei versanti a causa della loro ripidità e della presenza di reti di fratture che indeboliscono la roccia. L’immagine mostra un esempio di frana per crollo sulla formazione del Calcare massiccio che costituisce il versante di Monte Acuto sovrastante Fonte delle Gorghe.

(Fig. 6). Evidenze di ruscellamento a Valpiana (foto D. Savelli). I processi di erosione connessi con l’azione delle acque correnti superficiali sono molto diffusi sia sui pendii montani, sia nelle aree collinari, fino alle quote più basse. L’organizzarsi in rivoli delle acque di pioggia che prendono a scorrere sui pendii, produce rapidamente serie di piccoli solchi, in grado talora di evolvere verso valle (o nel tempo) in veri e propri fossi. Nelle aree collinari coltivate, l’azione antropica cancella continuamente queste forme soprattutto con l’aratura. In aree montane (come quella in figura), i rivoli prodotti dal ruscellamento su materiali detritici facilmente degradabili vengono talvolta fissati dalla vegetazione e “fossilizzati”, restando evidenti anche per lungo tempo dopo la cessazione della loro attività e restando, eventualmente, in grado di riattivarsi in caso di eventi piovosi particolarmente intensi.

(Fig. 7). Corridoio di valanga sul versante settentrionale di Monte Acuto (foto D. Savelli). Nonostante sembri un paradosso parlare di valanghe per il territorio del bacino del Cesano, così lontano dalle aree alpine per le quali si è abituati a considerare questi fenomeni come “normali”, anche se pericolosi, il fenomeno non è del tutto estraneo al massiccio del Catria. Qui, il ripido versante nord-occidentale di Monte Acuto è infatti attraversato per tutta la sua lunghezza da un canalone che, partendo da una ampia conca che si apre presso la vetta alla quota di circa 1.650 m, termina verso il basso contro il Fosso del Mandrale. La conca sommitale è in grado di raccogliere notevoli quantità di neve, in parte anche grazie all’azione di accumulo da parte del vento. In occasione di innevamento particolarmente consistente, l’accumulo può collassare, innescando valanghe che percorrono il canalone (corridoio di valanga) e raggiungono il fondovalle, depositando il loro carico di neve e detriti. Le immagini mostrano il corridoio in vari e fasi relative alla sua storia più recente. 1) 1991, pochi mesi dopo un episodio di attivazione; 2) estate 2004, dopo quasi 15 anni di inattività; 3) 9 aprile 2005, circa 2 mesi dopo la sua riattivazione; 4) maggio 2005, con l’evidenza della sua riattivazione invernale.

(Fig. 8). Forre e cavità carsiche nei pressi della Balza dell’Aquila (foto D. Savelli). La Balza dell’Aquila, un imponente dirupo in continuità con quello che sovrasta il monastero di Fonte Avellana, si erge presso le sorgenti del Fiume Cesano, proprio nel punto in cui molti piccoli corsi d’acqua a regime per lo più occasionale, si congiungono a formare il segmento iniziale del corso d’acqua principale. Alcuni di questi piccoli corsi d’acqua hanno inciso in profondità il ripido dirupo di Balza dell’Aquila, incuneandosi nella formazione non stratificata e compatta del Calcare massiccio (Giurassico inferiore) ed estendendo poi man mano il loro approfondimento verso monte (processo noto in Geomorfologia come erosione regressiva, o rimontante). L’approfondimento dei corsi d’acqua ha così originato strette vallive e forre, spesso allineate lungo le maggiori fratture delle rocce attraversate, linee di debolezza nei confronti dell’azione erosiva torrentizia. Nei tratti più bassi, profondamente incastrati nel Calcare massiccio, coesistono forme fluvio-torrentizie, come le forre, scavate dall’impeto della corrente e forme carsiche, prodotte dalla lenta azione corrosiva dell’acqua sui calcari; fra queste ultime spiccano ampie cavità, rientranze nelle pareti rocciose e piccole grotte che si aprono sulle pareti rocciose. Nell’immagine, alcune ampie cavità carsiche e il tratto iniziale della Forra di Balza dell’Aquila, ben nota agli appassionati di canyoning.

(Fig. 9). La cresta rocciosa lungo la faglia di Monte Mura (foto D. Savelli). Monte Mura è parte della dorsale anticlinalica minore che, fra Frontone e Serra S. Abbondio si salda con la dorsale principale Catria-Nerone. Il versante meridionale di Monte Mura termina contro la gola de il Castallaccio, incisa dal Fiume Cesano nelle unità della successione umbro-marchigiana comprese fra la formazione del Calcare Massiccio e quella della Maiolica. Qui, i calcari selciferi appartenenti a quest’ultima formazione sono attraversati da una faglia, messa in risalto da uno dei migliori esempi di muro di faglia (o cresta di faglia) dell’intero Appennino marchigiano, una forma lineare e continua che da lontano simula un muro eretto dall’uomo. Nonostante che nelle formazioni carbonatiche del nostro territorio muri di faglia più o meno discontinui e/o pinnacoli rocciosi siano comunissimi, forme regolari e continue come quella di Monte Mura, oltre che essere di sicuro impatto paesaggistico, sono oltremodo rare. La cresta si sviluppa lungo una antica faglia giurassica, oggi inattiva, che interessa localmente i calcari selciferi della Maiolica. La forte cementazione della roccia di faglia, dovuta alla precipitazione di carbonato di calcio operata da fluidi circolanti lungo le innumerevoli fratture che caratterizzano la zona di faglia, ha reso la stessa più resistente all’erosione rispetto ai calcari stratificati adiacenti. Di conseguenza, l’erosione ha potuto operare in maniera selettiva e, agendo con minor efficacia sulle “rocce di faglia” relativamente resistenti, le ha portate in rilievo sul versante.

(Fig. 10). Petrara: scarpate associate a faglie (foto D. Savelli). Sul fianco nord-orientale della dorsale anticlinalica minore che contiene Monte Mura, affiorano le formazioni della successione umbro-marchigiana comprese fra il Calcare Massiccio (in corrispondenza delle incisioni più profonde) e la Maiolica. Alle spalle di Petrara, sul fianco sinistro di Valle Palombara, il pendio impostato sui calcari selciferi di quest’ultima formazione è interrotto da una coppia di dirupi rocciosi ad andamento parallelo al versante, di particolare risalto morfologico e impostati in corrispondenza di due linee di faglia. Mentre il dirupo inferiore percorre l’intero versante, quello superiore è circoscritto all’interno della depressione di un ampio vallone che attraversa il versante. Come per i dirupi sovrastanti Fonte Avellana, si tratta di due scarpate modellate dall’azione selettiva dell’erosione lungo la discontinuità geometrica e litologica rappresentata da superfici di faglia preesistenti (scarpate di linea di faglia).

(Fig. 11). Cascata di Val Canale (foto D. Savelli). Alle spalle di Petrara, la profonda incisione della Val Canale nella dorsale anticlinalica minore che corre da frontone a Serra S. Abbondio, raggiunge i calcari dolomitici mal stratificati della porzione sommitale della formazione del Calcare massiccio. Qui, la notevole resistenza all’erosione offerta da queste rocce, ha favorito la formazione di pareti strapiombanti e piccole forre. La dissoluzione carsica del Calcare massiccio ha prodotto anfratti e ampie rientranze nelle pareti rocciose, fra i quali spicca una suggestivo grotta, ampia ma poco profonda, che ospita a tutt’oggi una piccola immagine della Madonna (Madonna del Grottone). Il torrente a deflusso occasionale che occupa Val Canale, nell’attraversare il Calcare massiccio, compie alcuni salti, di particolare suggestione durante le fasi di attività del corso d’acqua.

(Fig. 12). La Cascata del Cesano in località il Lago: (foto D. Savelli). Poco meno di 2 km a monte di Serra S. Abbondio, in località il Lago, il fondovalle del F. Cesano attraversa una piccala stretta. La stretta deve la sua origine alla maggior resistenza all’erosione fluviale offerta dai calcari della formazione della Scaglia rossa nel punto in cui questi sono dislocati da una faglia che, passando da Poggio Pontone, attraversa il fondovalle per proseguire verso sud-est, in direzione di Monte Calvello. L’erosione fluviale, nel punto in cui ha incontrato la resistenza opposta dalla roccia di faglia, ha creato una piccola, ma suggestiva cascata incastrata all’interno di una modesta gola. Il salto si trova alquanto arretrato rispetto al punto in cui il fondovalle si restringe a causa dell’ostacolo roccioso. Questo fenomeno, presente con maggiore o minore evidenza ovunque si trovi una cascata, è legato alla dinamica evolutiva della cascata stessa, che inizia la propria azione erosiva sul lato sottocorrente dell’ostacolo, abradendolo gradualmente verso monte e “incastrandosi” al suo interno. Ne risulta un arretramento dell’orlo della scarpata (erosione rimontante, o regressiva) e, man mano che la cascata arretra, una graduale diminuzione di altezza, fino alla sua scomparsa, del gradino del letto fluviale che genera il salto.

(Fig. 13). La stretta di Fosso Mandrale (foto D. Savelli). Impostata, come la cascata de il Lago, in rocce rese più resistenti all’erosione fluvio-torrentizia dalla presenza di zone di faglia, si apre a monte di Frontone, sulle pendici di Monte Acuto. Sul taglio della strada che la percorre sono ben visibili i calcari selciferi della formazione della Maiolica, l’unità nella quale è incisa questa piccola forra. L’evidente spiegazzatura degli strati rocciosi evidenzia l’intensa deformazione tettonica collegata alla faglia, visibile in affioramento su entrambi i versanti immediatamente a valle della stretta.

(Fig. 14). La gola di Madonna del Sasso (foto D. Savelli). Si apre nel punto in cui il F. Cesano attraversa la dorsale anticlinalica minore di Monte Rotondo. Questa, di estensione molto limitata, si sviluppa fra Rotondo-Monte Rosso (a sud-est) e Bellisio Alto (a nord-ovest) ed è costituita dalle formazioni della successione umbro marchigiana comprese fra la Corniola (affiorante solo in una piccolissima area al fondo della gola) e la Scaglia rossa e variegata. La gola, che taglia ortogonalmente la dorsale anticlinalica, è l’esempio più evidente e meglio sviluppato di gola diaclinale dell’intero bacino dei fiumi Cesano-Cinisco. Proprio le gole diaclinali, cioè gole che attraversano trasversalmente gli ostacoli costituiti dalle dorsali carbonatiche, sono fra le forme insieme più spettacolari, tipiche e problematiche dell’Appennino marchigiano. La Gola di Madonna del Sasso (dal nome del piccolo santuario che si erge su uno sperone roccioso al centro della gola) si apre in corrispondenza della culminazione assiale della struttura anticlinalica, cioè del suo punto geometricamente più rilevato e, quindi, apparentemente meno favorevole alla formazione di una gola. Questa caratteristica, che la accomuna con la più nota e spettacolare Gola del Furlo, può costituire un elemento chiave per far luce sui meccanismi genetici ed evolutivi sia di questa che delle altre gole trasversali dell'intero Appennino Marchigiano. Lo sviluppo di queste forme, è infatti tuttora controversa, attribuita variamente a meccanismi di antecedenza, sovrimposizione (o varie combinazioni degli stessi) e catture, senza che si siano ancora ottenute prove definitive a supporto dell’uno o dell’altro.

(Fig. 15). I terrazzi del Cinisco a Frontone (foto D. Savelli). La storia climatica del Quaternario è molto varia, componendosi di complessi insiemi di fluttuazioni di differente durata e intensità riassumibili, secondo schemi tradizionali un po’ semplicistici, ma efficaci nelle loro linee essenziali, in un certo numero (almeno quattro) di fasi molto fredde (glaciali) e fasi temperate (interglaciali). Durante i periodi di intenso raffreddamento che hanno contraddistinto le fasi glaciali, nell’Italia peninsulare, si sono instaurati ambienti di steppa e tundra che resero queste aree più simili agli attuali territori circumpolari che ai paesaggi odierni. In questi ambienti quasi completamente deforestati dal freddo intenso, è aumentata enormemente l’erosione sui versanti, ai piedi dei quali sono andate formandosi grandi coltri detritiche. Dai versanti, una gran quantità di frammenti rocciosi è stata convogliata verso i fiumi i quali, non riuscendo a rimuovere la totalità dei detriti, li ha depositati sul fondo delle valli. I fondi vallivi sono stati così ripetutamente colmati da quelle ghiaie e sabbie che oggi troviamo conservate sotto forma di terrazzi a varie altezze al di sopra del letto fluviale. I terrazzi sono pertanto i resti delle antiche piane fluviali, rimaste pensili sul fondovalle dopo che i fiumi, col ritorno di condizioni temperate e liberi dal troppo carico di detriti, avevano ripreso l’approfondimento del proprio corso. In particolare, il progressivo approfondimento della rete fluviale che si osserva in queste fasi, è stato controllato dal sollevamento dell’intero territorio e ha fatto sì che le forme più antiche venissero a trovarsi a quote progressivamente più elevate.
La valle del Cesano, sin dai suoi tratti montani, è caratterizzata da terrazzamenti vallivi quaternari (Pleistocene medio-superiore e Olocene), estesi e ben preservati. Nei dintorni di Frontone i terrazzi del F. Cinisco (t2, t3 nell’immagine) sono particolarmente evidenti e continui, oltre a essere spesso associati a consistenti accumuli (fino a oltre 20 m di spessore) di ghiaie alluvionali, a luoghi oggetto di attività estrattiva. Il nucleo abitativo di Frontone sorge sulla piana di fondovalle del Pleistocene superiore che, associandosi con le ripide scarpate che la separano dall’alveo attivo, va a formare il terrazzo del 3° ordine. Questo ordine dei terrazzi è distribuito con continuità lungo tutta l’intera valle ed è rappresentato da spianate ampie e relativamente continue da monte verso valle, poste a quote di 25-30 m al di sopra dell’alveo attuale. I terrazzi del 2° ordine, le cui superfici semipianeggianti si collocano a quote di 45-60 m al di sopra dell’alveo attivo, sono molto meno continui, anche se a luoghi estese ed evidenti e caratterizzati anch’essi dalla presenza di cospicui accumuli di ghiaie fluviali. I terrazzi più antichi dell’area considerata, sono privi di accumuli ghiaiosi e identificabili (anche se spesso in modo non univoco) dalla sola presenza di superfici semipianeggiante e/o spartiacque rettilinei (s) a quote relativamente elevate sul fondovalle.

(Fig. 16). I terrazzi dell’alta valle del Cesano (foto D. Savelli). Nella zona di Serra S. Abbondio-Morello-Coldorso, la valle del F. Cesano, uscendo dalla dorsale del Catria e prima di immettersi nella gola della Madonna del Sasso, si apre in un’ampia depressione morfologica, di aspetto collinare, corrispondente a un sinclinoro allungato in direzione appenninica e costituito da terreni marnosi e calcareo-marnosi cenozoici. Qui si osservano numerosi terrazzi, ampi, continui e ben preservati. I terrazzi più recenti (3° ordine dei terrazzi, Pleistocene superiore) sono forme fluviali “lungo valle”, analoghe a quelle che si osservano sull’intero fondovalle. Le forme terrazzate più antiche (1° e 2° ordine, rispettivamente del Pleistocene medio e fine Pleistocene medio), invece, rappresentano non terrazzi fluviali veri e propri (cioè forme vallive), ma resti di antichi depositi alluvionali pedemontani (conoidi in parte coalescenti) che ricoprivano gran parte della fascia a ridosso delle pendici della dorsale Catria-Nerone, da Cagli a Serra S. Abbondio, e la sua prosecuzione verso sud-est, fino a Sassoferrato-Fabriano. In particolare, quello considerato è l’unico punto a ridosso della dorsale carbonatica Catria-Nerone in cui si può osservare la serie completa dei terrazzi, conservando traccia anche delle forme più antiche (1° ordine). Essendo inoltre pochissimi, nelle Marche settentrionali, i resti preservati di conoidi alluvionali associate al 1° ordine dei terrazzi, la zona assume un indubbio valore e significato.
I terrazzi sono ricoperti da ghiaie alluvionali di spessore variabile da meno di 1 m a oltre 20 m, osservabili in corrispondenza di molte delle spianate più o meno ampie che costellano la fascia pedemontana a valle di Serra S. Abbondio. I terrazzi più recenti (t3, t2 nell’immagine), sono particolarmente ben visibili fra Poggetto-Coldorso e Morello, dove sono separati da scarpate di circa 25 m di altezza. I terrazzi più antichi (1° ordine) compaiono nel medesimo settore, fra Poggio i Covi e Case Le Macchie, ma sono ridotti a piccoli lembi e a culminazioni di modesti rilievi. Anche la genesi delle forme terrazzate in oggetto, analogamente a quelle della valle del F. Cinisco, è connessa con le fasi fredde del Pleistocene medio e superiore. In questo caso, tuttavia, l’accumulo è stato prodotto da corsi d’acqua minori, con carico molto elevato ma poca energia per il trasporto o, come nel caso del F. Cesano, sbarrati verso valle. In entrambi i casi, i corsi d’acqua si trovavano nell’impossibilità di distribuire i propri detriti “lungo valle” costruendo piane alluvionali di fondovalle e dando origine, con la loro incisione, ai “normali” terrazzi fluviali. Nel nostro caso, i corsi d’acqua provenienti dalle dorsali carbonatiche, trovandosi sovraccarichi dei detriti prodotti dal gelo nelle aree montane, li hanno depositati al loro sbocco nella fascia pedemontana sotto forma di conoidi alluvionali più o meno estese. Anche il F. Cesano, grazie allo sbarramento verso valle costituito dalla dorsale anticlinalica di Monte Rotondo, ha depositato i propri detriti su un’area ampia, ma circoscritta verso valle, costruendo localmente la sua conoide alluvionale. Alla fine del Pleistocene medio, il rilievo di Serra S. Abbondio separava verso nord-est i depositi alluvionali del F. Cesano da quelli di altre piccole conoidi. Verso sud-est, i depositi del F. Cesano erano invece coalescenti con quelli degli apparati di conoide Venatura-Castiglioni, accumulati da piccoli corsi d’acqua provenienti da Monte Cilio-Monte della Strega. Una volta cessate le condizioni fredde che ne avevano determinato l’accumulo, le conoidi sono state profondamente dissecate dai corsi d’acqua, rimanendo pensili sul fondovalle. Si può infine notare come in ciascuna delle aree in cui si osservano apparati di conoide, quelli del Pleistocene medio siano stati più estesi e con forme a ventaglio meglio sviluppate. Nel Pleistocene superiore, invece l’accentuarsi delle depressioni topografiche collegato al rapido approfondimento dei corsi d’acqua alimentatori, ha impedito alle forme a ventaglio di svilupparsi liberamente e le conoidi si sono dovute adattare ai condizionamenti topografici dei paesaggi in cui si formavano. Hanno avuto così origine le moltissime conoidi “confinate” che caratterizzano il Pleistocene superiore nord-marchigiano e i corsi d’acqua, come il tratto del F. Cesano considerato, che non sono più stati in grado di generare conoidi, ma solo di formare “normali” terrazzi vallivi.










Fig. 1. Lo spartiacque del bacino del Cesano sulla dorsale del Catria (foto D. Savelli).

Fig.2. La dorsale del Catria (foto D. Savelli)

Fig. 3. La rupe alle spalle del monastero di Fonte Avellana (foto D. Savelli)

Fig. 4. Circo glacio-nivale sul versante nord-orientale di Monte Catria (foto D. Savelli)

Fig. 5. Frana di crollo sul versante nord-orientale di Monte Acuto (foto D. Savelli)

Fig. 6. Evidenze di ruscellamento a Valpiana (foto D. Savelli)

Fig. 7.1 Corridoio di valanga sul versante settentrionale di Monte Acuto (foto D. Savelli)

Fig. 7.2 Corridoio di valanga sul versante settentrionale di Monte Acuto (foto D. Savelli)

Fig. 7.3 Corridoio di valanga sul versante settentrionale di Monte Acuto (foto D. Savelli)

Fig. 7.4 Corridoio di valanga sul versante settentrionale di Monte Acuto (foto D. Savelli)

Fig. 8. Forre e cavità carsiche nei pressi della Balza dell’Aquila (foto D. Savelli)

Fig. 9. La cresta rocciosa lungo la faglia di Monte Mura (foto D. Savelli)

Fig. 10. Petrara: scarpate associate a faglie (foto D. Savelli)

Fig. 11. Cascata di Val Canale (foto D. Savelli)

Fig. 12. La Cascata del Cesano in località il Lago: (foto D. Savelli)

Fig. 13. La stretta di Fosso Mandrale (foto D. Savelli)

Fig. 14. La gola di Madonna del Sasso (foto D. Savelli)

Fig. 15. I terrazzi del Cinisco a Frontone (foto D. Savelli)

Fig. 16. I terrazzi dell’alta valle del Cesano (foto D. Savelli)