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Scheda
: 10.08.2005
: 25.09.2006

L'inverno rappresentava l'occasione per le donne di fare maglie di lana e calzette, rammendare abiti da lavoro, preparare la "dòta" quando c'era una giovane in casa. Per gli uomini invece era l'occasione per fabbricare nuovi attrezzi o per riparare quelli usati: manici per "malapèggi" (piccozze), zappe e vanghe. I paletti di acacia o di orniello erano essiccati nel forno a legna, il cui gradevole profumo dolciastro si espandeva ovunque, e dopo la sbucciatura (rimozione della corteccia) si lasciavano asciugare per un certo periodo prima di ricavarne dei manici.

A casa dei contadini si faceva un po' di tutto: le "granàt d' mèlliga" (scope di saggina) per la cucina, mentre le scope per la stalla si ricavavano con i rami "d' tamarìg" o di olmo; la "capra" (treppiedi in legno, ricavato da un tronco d'albero mozzato con tre trami per il piedistallo) per appoggiare in posizione orizzontale il timone del "biròcc"; c'erano seggiole da riparare e sedili da rifare con la "sgàrza" (garza); si facevano carriole, rastrelli, forche per raccogliere il fieno, scale di legno con i rispettivi pioli, la cassa per la mistura che era un composto fatto di acqua, farina di granturco e di semola e, a seconda dei casi (cioè se era destinata ai vitellini o ai maiali) anche di latte - ai pulcini invece veniva impartito un tritato di erbe che chiamavano "`l pist", battuto in una apposita tavoletta con il "falcìn"- si realizzavano le "galòg" (sandali) ricavate con i copertoni di gomma d'auto o di camion, i "giògh", le fruste, le morse e le morsette, le corde normali e quelle per la stròppa (coppia di buoi), i "cavzón" o i "sàrc d' canapa" (grossa fune) che si ottenevano con l'aiuto dei "cord" o "canapìn" che erano gli stessi che preparavano le corde ai pescatori.

Si usava il martello e l'incudine per battere le varie lame da taglio e poi si rotavano (affilavano nella mola) insieme ai coltelli da cucina, alle falci, falcette e "falcìn", alle "rònch", alle "tàjafien", alle "fàlcnàr" (falce da fieno), alle zappe e vanghe. Erano attrezzi artigianalmente costruiti che si acquistavano al mercato e soprattutto da Guinaldo Massi, il fabbro e maniscalco di Scapezzano, o al Cesano da "Gig' d' Furmìga" -Luigi Formica- che provvedeva anche al taglio delle unghia dei buoi con le apposite tenaglie e "sgùrbie".

Durante l'uso degli attrezzi da taglio (falci varie) le lame si affilavano con una apposita pietra chiamata "la cót' ", la quale, dopo l'uso, veniva riposta all'interno di un corno di bue, che gli agricoltori tenevano appeso ai pantaloni. Il corno di bue era usato anche per ripórre le "fòrbc d' l' vit' "quando le mani del contadino erano impegnate nella vendemmia o nella legatura delle cime di vite fatta col "vénch" (giunco).