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Scheda
: 09.08.2005
: 12.05.2006

A S. Lucia di Calamello nel territorio di Cartoceto (isola amministrativa del Comu¬ne di Pergola), nel giugno 1946, durante il lavoro di scavo per un fosso di scolo davanti alla casa colonica, il piccone dei Peruzzini produsse un suono metallico. Dal terreno uscì quella che a prima vista, sembrava una botte, senza fondo, schiacciata (era la pancia di un cavallo!). Accantonata la " lamiera" si continuò a scavare. Di nuovo un rumore metallico: questa volta uscì dalla buca uno zoccolo di cavallo con relativo garretto.

I coloni, impauriti, sospesero subito i lavori. Una quindicina di anni prima, durante uno sbancamento nell'area antistante l'abitazione, i Peruzzini avevano rinvenuto il tumulo di uno scheletro umano, posto sopra un lastrone di pietra, con attorno vasi e altri oggetti. Capitato sul luogo il fattore Grappa, li convinse a continuare ad estrarre i reperti che vennero ammucchiati sull'aia. Promettendo di far loro ottenere una ricompensa, si fece firmare una dichiarazione in cui veniva stabilito che egli stesso avrebbe beneficiato dei futuri guadagni.

La gente che passava davanti al cascinale, vedendo le teste equine aveva diffuso la voce che i Peruzzini "avevano messo su i cavalli". Questa notizia giunse anche alle orecchie del canonico Giovanni Vernarecci, ispettore onorario di Fossombrone, che si recò immediatamente sul posto. Lo studioso reclamò per il Museo forsempronese il materiale recuperato ma la proprietaria del rustico, signora Maria Castellucci in Rossi, avvertita nel frattempo, negò decisamente il consenso.

Allora il Vernarecci avvisò la Soprintendenza di Ancona. Assente il Prof. Annibaldi, si mobilitò il Prof. Nereo Alfieri, il quale, messosi su di un autobus, giunse dopo cinque ore di viaggio a Fossombrone. Fattosi accompagnare dal canonico arrivò sul luogo del ritrovamento. Era il 10 Luglio. Presentatosi alla Signora Rossi, l'Alfieri, dietro rilascio di una ricevuta, ritirò un certo quantitativo di reperti che inviò subito alla Soprintendenza. Suggerendo di approfondire il lavoro di scavo, venne tre giorni dopo richiamato al cascinale ove lo attendeva un quantitativo ancor più consistente del primo. L'ispettore passò la notte di guardia ai preziosi reperti, in una stanza attigua alla soffitta ove erano stati ammonticchiati. Il 15 Luglio tutti i "Bronzi" arrivarono ad Ancona. Apparve subito evidente che il gruppo era incompleto.

I pezzi inventariati furono: una statua di matrona romana. In posizione eretta; una statua muliebre acefala e priva degli arti; un cavaliere arcionato; due teste equine integre e parti spezzate del corpo di due quadrupedi; molteplici frammenti di corpi equini e minuti frantumi di statue per un peso complessivo di quasi 9 quintali. Altre minutaglie vennero recuperate nell'agosto dello stesso anno dall'Assistente De Maddis, inviato dalla Soprintendenza a Cartoceto. I successivi scavi del mese di ottobre non permisero di recuperare altro. Ne diedero miglior esito quelli di una decina di anni più tardi effettuati dal Prof. Sandro Stucchi, incaricato nel frattempo di effettuare uno studio sui "Bronzi". Dall'analisi ricostruttiva dello studioso i reperti vengono fatti risalire al primo secolo dopo Cristo. Il materiale (lega ternaria: stagno, piombo e rame, ricoperto da una lamina d'oro) sarebbe appartenuto ad un gruppo equestre raffigurante la famiglia imperiale. Il monumento originario poteva essere costituito da cinque statue, così disposte: al centro l'imperatore Tiberio a cavallo; ai suoi lati due matrone romane in posizione eretta (Livia e la cognata Agrippina Maggiore); nei terminali due cavalieri: i fratelli Nerone Cesare e Druso III, figli di Agrippina e di Germanico, fratello dell'Imperatore. Fattolo innalzare intorno al 27 d.C., in seguito al sospetto che i nipoti e la cognata Agrippina ordissero un complotto contro di lui, pochi anni dopo Tiberio lo fece abbattere e distruggere, lasciando intatta al suo posto solo la statua che lo raffigurava.

Vigeva allora, in simili casi, la "damnatio memoriae" cioè la distruzione delle statue o simboli di coloro che cadevano in disgrazia dell'Imperatore. Pertanto i reperti ritrovati riguarderebbero: la statua intera dedicata a Livia; il dorso mutilo facente parte della statua di Agrippina; il cavaliere arpionato Nerone Cesare e le due teste equine, in origine attaccate al corpo dei cavalli di Nerone e Druso III. I vari frammenti, non ricomponibili, farebbero parte della statua di Druso e dei corpi dei quadrupedi. La statua di Tiberio, lasciata in loco, sarebbe pertanto stata esclusa dalla demolizione e non interrata a Cartoceto di Pergola. Ubi erat Dux? Dov'era la statua dell'Imperatore? Quale dei Municipi Romani: Forum Sempronii, Suasa, Fanum Fortunae, ubicati vicino al luogo del ritrovamento, era dotato di un simile ornamento? Precedente al recupero dei "Bronzi di Cartoceto di Pergola" è il ritrovamento, a Suasa, di una testa equina e di un gladio imperiale, ugualmente in bronzo dorato, effettuato dal Sig. Licurgo Cagliesi, colono del Principe Ruspali, una sessantina di anni fa. La segnalazione dei reperti, esulati purtroppo alla Walter art's gallery" di Baltimora, venne fatta nel 1952 dalla figlia (residente a Roma) del colono, defunto nel 1933. Nella lettera di risposta al quesito del Dott. Gello Giorgi di San Lorenzo in Campo (autore fra l'altro della preziosa monografia "Suasa Senonum") il Soprintendente ai beni archeologici Giovanni Annibaldi, così concludeva: "Non è escluso che (i "Bronzi di Cartoceto") possano venire da qualche centro vicino, come da Suasa; di più non si può dire".

Giuseppe Pierangeli - l'Eco maggio 2005

Casa colonica in località S.Lucia di Calamello in frazione di Cartoceto di Pergola, luogo del ritrovamento dei bronzi.

Immagine: autorizzazione della Soprintendenza Archeologica delle Marche nr.139, del 5.1.99.








Casa Calamello.
Soprintendenza Archeologica Regione Marche