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Scheda
: 01.01.2005
: 02.11.2005
Flora e vegetazione
I termini flora e vegetazione sono molto spesso utilizzati come sinonimi, tuttavia per il botanico hanno un significato molto differente. La flora di un determinato territorio comprende la totalità delle specie che vive in quel luogo; tanto più alto è il numero delle entità presenti, tanto più ricca è la flora. La composizione floristica non è uguale per tutti i territori e non è casuale; anche luoghi molto vicini e confrontabili come estensione ed altitudine hanno quasi sempre differenze grandi o piccole nel numero e qualità delle specie presenti. Ciò dipende dalle molteplici vicende geologiche e climatiche che hanno interessato e interessano tuttora ogni angolo della Terra, ma anche dall'influenza che inevitabilmente l'uomo ha determinato sulla natura.

L'insieme dei vegetali viventi in una certa area geografica più o meno vasta, indipendentemente dal numero e dall'identità delle specie, costituisce invece la vegetazione di quella zona. La sua maggiore o minor ricchezza non dipende, dunque, dal numero delle specie, ma dal numero e dalle dimensioni degli individui presenti e dalla copertura dell'area indagata. Le piante tendono a consorziarsi, creando dei popolamenti in cui le varie entità sono in equilibrio tra loro e con le condizioni climatiche e geomorfologiche. Ad esempio una faggeta è un "tipo di vegetazione" un pascolo arido (ad esempio un brometo, caratterizzato dalla presenza della graminacea Bromus erectus), rappresenta un altro "tipo di vegetazione". Perciò vegetazione più essere definita come l'insieme delle comunità vegetali esistenti in un territorio. Ciò che caratterizza la vegetazione non è solamente l'insieme delle piante, ma anche la fisionomia, vale a dire la densità, l'altezza e la forma delle piante che la compongono. Il termine faggeta contiene quindi molte informazioni: si tratta di un bosco in cui la specie dominante è il Faggio (Fagus sylvatica) e che può ospitare altre specie arboree come Aceri e Frassini e presenta un sottobosco costituito da un insieme di specie erbacee e arbustive caratteristico che vive esclusivamente in tale ambiente.

Perché la ricerca floristica
La ricerca floristica, così come qualsiasi altro tipo di ricerca naturalistica, ha lo scopo di approfondire le conoscenze del territorio sotto quel particolare punto di vista. La conoscenza del patrimonio vegetale è indispensabile per fare un censimento di tutte le specie presenti, conoscerne la distribuzione (o corologia), la biologia e i rapporti ecologici (ad esempio sotto il profilo vegetazionale).

Pur considerando che nessuna area della nostra regione è stata talmente studiata da possedere tutte queste conoscenze, la ricerca floristica può, nel frattempo, fornire le informazioni necessarie per valutare l'importanza naturalistica delle varie aree indagate nonché la consistenza e la conservazione dell'insieme dei vegetali presenti. Da tali conoscenze può derivare la giusta rotta da seguire nel tentativo di proteggere e tutelare i biotopi e le specie più rare o vulnerabili. La corretta gestione del nostro patrimonio naturale deriva dunque dalla conoscenza che ne abbiamo. Per finire, la ricerca di campagna è necessaria per formare quelle professionalità che possono essere di volta in volta utilizzate per risolvere problemi contingenti e di portata limitata a favore della collettività: identificazione di specie di interesse scientifico, amatoriale, agricolo o sanitario, consulenze preliminari necessarie per la realizzazione di interventi sul territorio o di elaborazione di leggi di protezione delle flora o di piani di gestione di aree naturalistiche, parchi, ecc.

Inquadramento geografico della Provincia di Pesaro e Urbino
Questo territorio è caratterizzato dalla quasi assenza di pianure, da un ampio settore collinare che occupa la parte orientale fino al mare e, a Ovest, da un'ampia fascia longitudinale prevalentemente montuosa.

La fitta rete idrografica è costituita da cinque fiumi principali: Marecchia, Conca, Foglia, Metauro e Cesano e da numerosi affluenti, fra i quali si distinguono per estensione e portata quelli del Metauro (Candigliano, Burano e Bosso). I primi due fiumi solamente nel tratto montano scorrono nel territorio marchigiano, invece il Cesano nel tratto inferiore e medio coincide col confine amministrativo fra le Province di Pesaro e Urbino e Ancona. Tutti i nostri fiumi hanno un percorso che si snoda da Sud-Est a Nord-Ovest. Lungo i corsi d'acqua si rinvengono più o meno cospicui depositi alluvionali dell'Olocene-Pleistocene medio.

Le pianure sono limitate alle piane alluvionali dei fiumi principali, pertanto la Provincia ha una morfologia piuttosto accidentata con colline che arrivano praticamente fino al mare. Sul Colle S. Bartolo, fra Pesaro e Gabicce, è presente una falesia viva soggetta ad intensa e continua erosione.

Il settore montano è formato nel tratto superiore dalla parte meridionale dell'Appennino Tosco-Romagnolo, in quello inferiore dall'Appennino Umbro-Marchigiano. Quest'ultimo è disposto in direzione NO-SE e distinto nelle due catene montuose principali la Dorsale Umbro-Marchigiana ad Ovest e la Dorsale Marchigiana a Est, che si riuniscono a Sud nei Monti Sibillini. La maggior parte delle nostre montagne ha la parte sommitale più o meno arrotondata e quasi pianeggiante e i versanti orientali più ripidi di quelli occidentali. Procedendo da Nord verso Sud la linea di spartiacque tra il versante tirrenico e adriatico di questo tratto appenninico migra verso occidente e, nella parte più meridionale del nostro Appennino, non coincide più con la cresta principale, ma corre lungo rilievi a quota sensibilmente inferiore. La parte più settentrionale dell'Appennino Umbro-Marchigiano è formata da una porzione della Catena del Falterona che da questa montagna arriva fino al Colle di Gubbio. I rilievi più importanti appartenenti alla provincia sono le pendici meridionali del M. Fumaiolo, il M. della Zucca (1265 m), il M. dei Frati (1454 m), il M. Maggiore (1384 m), il M. Sodo Pulito (1225 m), il Poggio Alto (1262 m), il M. S. Antonio (1169 m), e Pian della Serra (1020 m). Sono montagne costituite da rocce appartenenti, a Nord, alla Complesso Ligure dalla Serie Pietraforte-Alberese, più a Sud alla Formazione Marnoso-Arenacea del Serravalliano-Langhiano. A oriente del M. Fumaiolo si estendono le due catene secondarie del Montefeltro. La più settentrionale delle due, con direzione OSO-ENE, rappresenta lo spartiacque fra il bacino del F. Savio e quello del F. Marecchia e comprende M. Aquilone (1355 m, Formazione di M. Fumaiolo del Miocene medio-inferiore), Poggio la Croce (915 m, depositi pelitico-arenacei del Serravalliano-Langhiano), M. della Perticara e M. Pincio (rispettivamente 885 e 861 m, sabbie e conglomerati del Pliocene inferiore). La seconda catena, parallela alla prima, comprende il M. Canale (1052 m), M. Carpegna (1415 m) e M. Palazzolo (1194 m) (Alberese dell'Eocene-Cretaceo superiore), Simoncello e Sasso di Simone (1221 m e 1204 m, Formazione di S. Marino), M. Copiolo (1033 m, Formazione di S. Marino), ecc. La catena fa da spartiacque tra il bacino del F. Marecchia e quello del F. Foglia. A Sud di queste montagne iniziano la Dorsale Umbro-Marchigiana e la Dorsale Marchigiana. Sono montagne costituite essenzialmente da rocce mesozoiche prevalentemente calcaree appartenenti alla Serie Umbro-Marchigiana (partendo dai più antichi ai più recenti: Calcare massiccio del Sinemuriano-Trias superiore, Corniola del Pliensbachiano-Lotharingiano, Formazione del Bugarone del Titoniano superiore-Pliensbachiano, Maiolica dell'Aptiano-Titoniano superiore, Marne a fucoidi del Cenomaniano-Aptiano, Scaglia variegata – Scaglia rosata e Scaglia bianca, Scaglia cinerea, Bisciaro). La Dorsale Umbro-Marchigiana, con direzione NO-SE è formata essenzialmente dal Gruppo del M. Nerone e da quello del M. Catria. Fra le vette principali si possono ricordare: M. Nerone (1525 m), la Montagnola (1486 m), M. Petrano (1162 m), M. Tenetra (1240 m), M. Acuto (1668 m) e M. Catria (1702 m). Ad Est di questa catena si estende la Dorsale Marchigiana che inizia coi Monti del Furlo, comprende nella Provincia il M. Pietralata (888 m), il M. Paganuccio (976 m) e verso sud fino ai confini con la Provincia di Ancona rilievi più modesti di aspetto collinare. A NE dei Monti del Furlo si estendono i Monti della Cesana nelle cui parti sommitali affiorano prevalentemente Scaglia variegata, Scaglia rosata e Scaglia Bianca del Priaboniano-Cenomaniano, e nelle pendici Scaglia cinerea dell'Oligocene, Bisciaro del Burdigaliano-Aquitaniano e Schlier del Messiniano inferiore-Burdigaliano.

L'area collinare che separa le due dorsali principali corrisponde alla struttura sinclinalica del Bacino Marchigiano interno ed è costituita da formazioni terrigene cenozoiche della Serie Umbro-Marchigiana (prevalentemente depositi torbiditici arenaceo-pelitici del Messiniano-inferiore-Tortoniano, Schlier, Bisciaro e Scaglia cinerea). Quest'area verso Sud si restringe fino a scomparire con la fusione delle due dorsali.

L'ampio settore della Provincia compreso fra le dorsali appenniniche e il litorale è formato da colline che degradano dolcemente verso il mare. Qui affiorano in prevalenza terreni pelitici ed arenacei, in gran parte plio-pleistocenici della monoclinale che forma il Bacino Marchigiano Esterno (Argille a Colombacci del Messiniano superiore, depositi torbiditici arenacei, arenaceo-pelitici e pelitico-arenacei del Messiniano inferiore-Tortoniano, Schlier, peliti del Pliocene, depositi sabbiosi del Pliocene inferiore, depositi arenacei del Messiniano superiore). Il litorale è caratterizzato nella parte settentrionale, fra Gabicce e Pesaro, dalla falesia del Colle S. Bartolo, costituito da depositi arenacei e arenaceo-pelitici del Messiniano superiore. Tra Pesaro e Fano è presente il Monte Ardizio, interrotto in località Fosso Seiore dall'omonimo corso d'acqua, le cui falesie sono inattive e formate da depositi sabbiosi del Pliocene inferiore. Con esclusione del Colle S. Bartolo, quindi, le colline costiere degradano dolcemente (bruscamente fra Pesaro e Fosso Seiore) in una costa bassa in cui la spiaggia sabbiosa o ciottolosa è piuttosto stretta a causa soprattutto dei fenomeni di erosione che caratterizzano ormai da vari decenni gran parte delle spiagge adriatiche.

All'estremità nordoccidentale della Provincia, nel Montefeltro, con esclusione di un'ampia fascia compresa all'incirca fra M. Faggiola Vecchia e M. Prato Lama a Ovest e S. Agata Feltria e Miratoio a Est, ove affiora la Formazione Marnoso-Arenacea, è presente la cosiddetta Colata gravitativa della Valmarecchia. Questo complesso geologico è caratterizzato da una vasta copertura di depositi argillitici caotici (Argille scagliose) su cui "galleggiano" placche di materiali più compatti (i cosiddetti esotici) che costituiscono le due catene parallele viste sopra. Come abbiamo già detto, parte di questi rilievi è costituita da peliti, sabbie e conglomerati del Pliocene inferiore, dalla Formazione di S. Marino, dalla Serie Pietraforte Alberese dell'Eocene-Cretacico superiore, da arenarie di M. Senario del Paleogene (M. Benedetto), ecc.

Il clima
Secondo la classificazione di Köppen il clima provinciale è caldo temperato e viene suddiviso in quattro tipi mesoclimatici: sublitoraneo, subcontinentale, subcontinentale di transizione e subcontinentale caldo. Il mese più freddo è gennaio, il mese più caldo, secondo le località, luglio o agosto. Le escursioni termiche, nel settore centrale e costiero, sono piuttosto contenute (circa 6-7 °C), ma aumentano sensibilmente nella stazione estiva, soprattutto nel settore interno. Le precipitazioni medie annue vanno da circa 750 mm della zona costiera a circa 1800 dell'area appenninica. Il regime delle precipitazioni è di tipo subequinoziale autunnale, con due massimi: uno primaverile ed uno autunnale. Il mese più asciutto è luglio (Urbinati, 2000). Considerate le caratteristiche climatiche delle località della provincia in cui sono presenti stazioni meteorologiche di rilevamento e tenuto conto della distribuzione delle specie vegetali e dei vari tipi di vegetazione, si arriva alla definizione del fitoclima (Biondi et. al., 1995). Il fitoclima della Provincia di Pesaro e Urbino comprende solo il bioclima temperato. Nell'ambito di questo sono riconosciuti due piani bioclimatici: un piano collinare, suddiviso in basso e alto collinare, presente nella maggior parte del territorio provinciale e in particolare nel settore centrale e costiero; e un piano montano suddiviso in basso montano (interessante la maggior parte della zona appenninica e parte dei Monti del Furlo) e alto montano presente nei maggiori rilievi e in parte dell'area più interna della Valmarecchia.

Storia della ricerca floristica nelle Marche
Il primo lavoro di una certa consistenza riguardante la flora della Provincia di Pesaro e Urbino si deve a Cesare Majoli (1790-1810), frate del monastero di Montebello di Urbino, sulle Cesane, che illustra circa 150 specie raccolte nell'Urbinate. L'opera è estremamente interessante sia da un punto di vista scientifico che artistico, tuttavia alcune delle piante raffigurate sono certamente estranee alla nostra flora. Nel 1811 Giovanni Brignoli pubblica il primo Catalogo delle piante del nuovo Orto Botanico dell'Università di Urbino nel quale segna con un asterisco 660 entità introdotte nell'Orto da vari luoghi del Dipartimento del Metauro. Due anni dopo nel 1813 assieme ad Antonio Bodei pubblica un saggio sulle produzioni naturali del Dipartimento del Metauro (Bodei e Brignoli, 1813). Tale opera è suddivisa in tre parti la prima delle quali riguarda notizie di carattere geologico e mineralogico, la seconda e la terza comprendono un elenco delle piante spontanee osservate nel Dipartimento del Metauro e un elenco di animali. L'elenco delle piante riguarda il Dipartimento del Metauro, territorio che comprendeva tutta la Provincia di Pesaro e Urbino (con esclusione del Montefeltro e inclusione di parti dei bacini del Tavollo, del Ventena e del Conca (oggi appartenenti all'Emilia-Romagna), il settore della Provincia di Ancona a Nord-Est della linea foce del Musone-Offagna-Cupramontana-Mergo-Serra dei Conti- Barbara-Castelleone di Suasa, il circondario di Gubbio. L'elenco, comprendente 1254 entità (compresi 281 fra Briofite, Licheni, Funghi e Alghe) e privo di citazione di località, non può essere quindi considerato in toto relativo esclusivamente alle Marche, in quanto parte delle indicazioni potrebbe riferirsi alle vicine Umbria e Romagna, pertanto è difficile la sua utilizzazione ai fini corologici.

La prima consistente segnalazione di piante relativa con certezza alla nostra Provincia risale al 1867 quando Alessandro Serpieri pubblica due lavori: il primo riguarda l'epoca di fioritura di 281 piante, in maggioranza spontanee, in parte coltivate, osservate nella parte più elevata di Urbino e in piccola parte nell'Orto Botanico, il secondo è un elenco, privo di note o commenti, di piante osservate da Raffaele Piccinini durante una sua erborizzazione effettuata sul M. Catria l'11 giugno 1866.

Nel 1887 Paolucci pubblica un piccolo lavoro in cui riporta un elenco di 245 specie rare nella regione e successivamente (1890-91) la Flora marchigiana nella quale l'Autore riporta per la regione circa 1865 entità, fra specie e sottospecie e per la Provincia di Pesaro e Urbino circa 1130. L'opera ha dei limiti ben evidenti, legati in primo luogo all'epoca della stesura. Ad esempio non viene trattato il gruppo delle Pteridofite, vi è una larga citazione di molte specie solamente coltivate e vengono considerati in modo acritico i dati riportati da Brignoli (1813), senza tenere conto di quanto detto sopra a questo proposito. Tuttavia rimane l'unica opera che delinea la consistenza del patrimonio vegetale delle Marche ed è stata di notevole stimolo per i botanici successivi per proseguire il lavoro di esplorazione floristica della regione.

Nel 1893 e nel 1894-95 Matteucci pubblica due modestissimi lavori. Il primo riguarda la flora del M. Nerone e riporta 413 specie (compresi Funghi, Licheni, Epatiche e Muschi) fra le quali alcune (Osmunda regalis, Hymenophyllym tumbridgense, Salvinia natans, Uperzia selago, Lycopodium clavatum, Buphthalmum salicifolium, ecc.) la cui presenza in tale montagna appare del tutto inverosimile. Il secondo è un manuale per il riconoscimento della flora delle Marche che si basa, per la scelta delle specie, sul Paolucci (1890-91) e che tratta, anche se in maniera molto semplificata, anche delle Crittogame, tuttavia, la mancanza totale di citazione di località e la difficoltà nell'uso delle chiavi, che sono piuttosto farraginose e poco pratiche, ne fanno un lavoro scarsamente utile e, nei fatti, presto completamente dimenticato. Quasi contemporaneamente escono due notevoli contributi di Paolucci e Cardinali (1895, 1900) alla conoscenza della flora regionale che aggiungono circa 85 nuove entità alla Flora Marchigiana di Paolucci.

Fra l'inizio del secolo e gli anni della seconda guerra mondiale vengono effettuate sporadiche raccolte soprattutto ad opera di botanici delle Università di Camerino e Urbino, di privati appassionati e occasionali visitatori. Fra essi si possono ricordare: E. Barsali, A. Bertoloni, A. Bettini, G. Bonaventura, R. Chiosi, M. Cengia-Sambo, R. Cobau, A. Del Testa, A. Fiori, F. Funari, R. Pampanini (1924), F. Parlatore, R. Pichi Sermolli, P. Zangheri, ecc.

Nel 1923 Cengia-Sambo pubblica Orchidaceae dell'Urbinate in cui segnala 33 specie, nonché varie forme e un ibrido e nel 1929 un contributo alla flora vascolare dell'Urbinate in cui sono riportate circa 1350 fra specie e varietà. In questo secondo lavoro il territorio preso in esame dall'Autore comprende la parte più interna della Provincia di Pesaro e Urbino, verso Est il limite seguito è la linea Pergola-Fossombrone-S. Tommaso-Trazanni-Pallino-Schieti e, attraverso il fiume Foglia, arriva a Sasso Feltrio. Quest'opera compendia le informazioni riportate in opere precedenti (Serpieri, 1867; Brignoli, 1811; Paolucci, 1890-91, ecc.) o ricavate da raccolte di altri botanici, spesso in maniera acritica; per esempio i dati di Brignoli (vedi sopra), sono disinvoltamente attribuiti ora a Urbino, ora ai Monti di Urbino ora all'Urbinate. Inoltre i dati riportati in vari casi sono talmente incredibili e fantasiosi (valga come esempio la citazione del Mirtillo (Vaccinium myrtillus) per i Monti del Furlo o la definizione di pianta comune per Cardamine asarifolia, non presente in realtà nella Regione) da rendere il lavoro, per lo meno, scarsamente attendibile. Fra il 1929 e il 1930 Chiosi (1936), anche in compagnia di Pampanini, compie delle ricerche in Val Marecchia, soprattutto sulle Cete di Uffogliano, sul M. di Maioletto e sui monti di Perticata. G. Luzzatto (1952 e 1955) pubblica un paio di contributi di osservazioni sulla flora vascolare dei dintorni di Urbino. In tali lavori l'Autore riporta numerose osservazioni di carattere corologico, ma anche morfologico, su numerose entità, nonché considerazioni piuttosto critiche su un precedente lavoro della Cengia-Sambo (l. c.).

Varie citazioni di piante della nostra Provincia sono riportate da Zangheri (1966) e riguardano l'alta valle del Conca e del Marecchia, territori facenti parte, dal punto di vista geografico e secondo lo stesso Autore, della Romagna fisica.

Finalmente un contributo fondamentale nell'approfondimento delle conoscente floristiche relative al nostro territorio è dato da Brilli-Cattarini che fonda nel 1949 il Centro Ricerche Floristiche Marche e che dagli anni '40 ad oggi conduce ricerche sistematiche nella regione marchigiana fisica (regione geografica compresa fra i bacini fluviali, inclusi, del Foglia e del Tronto). Da solo e in collaborazione con altri botanici o coi numerosi ricercatori che attraverso gli anni hanno lavorato in varia forma presso lo stesso Centro, egli raccoglie una quantità imponente di campioni di piante che arricchiscono un importante erbario, nonché di informazioni sulla distribuzione delle specie vegetali delle Marche. Gli abbondantissimi dati raccolti permettono allo stesso Autore di elaborare numerosi lavori, la maggiori parte dei quali di carattere floristico, e contribuisce ad accrescere in maniera determinante le conoscenze sulla nostra flora (Brilli-Cattarini, 1952, 1956, 1956a, 1958, 1960, 1965, 1969, 1971, 1972, 1976, 1977; Brilli-Cattarini e Ballelli, 1979, Brilli-Cattarini e Gubellini, 1987, 1988, 1991; Brilli-Cattarini e Sialm, 1973; Brilli-Cattarini et al., 1982).

Successivamente l'esplorazione floristica nella Provincia viene condotta anche da ricercatori delle Università di Bologna, Camerino, Ancona e Urbino e da vari appassionati marchigiani e della vicina Romagna. La Regione Marche nel 1981 e nel 1992 pubblica due lavori inerenti aree floristiche e/o di particolare interesse floristico o vegetazionale (AA. VV., 1981 e Ballelli e Pedrotti, 1992) in cui sono citate varie specie rare o interessanti per ogni area. Nel 1982, in occasione dell'escursione sul M. Catria organizzata dal Gruppo di Lavoro per la Floristica della Società Botanica Italiana, viene preparato e distribuito un lavoro, tuttora inedito, comprendente un elenco floristico relativo al Massiccio Centrale del Gruppo del M. Catria, nel quale vengono elencate circa 1550 entità fra specie, sottospecie e ibridi (Brilli-Cattarini et al., l. c.). Le indagini condotte da Raffaelli e Rizzotto (1991) fra 1985 e il 1990 sull'Alpe della Luna, portano alla realizzazione di un'interessante flora che tuttavia interessa solo marginalmente la nostra Provincia. Negli anni '90 escono due importanti opere sulle nostre Orchidee. Il primo (Klaver, 1991) è un esauriente e accurato lavoro di cartografia (il primo di questo tipo realizzato sulla flora nella nostra regione), il secondo realizzato da Crescentini e Klaver (1997) è un manuale riccamente illustrato che permette di determinare agevolmente le 54 specie presenti nella Provincia di Pesaro e Urbino, nonché le poche altre presenti in altre parti della Regione.

Per quanto riguarda la parte nordoccidentale della Provincia, il Montefeltro, un contributo importante nella conoscenza della sua flora si deve a Ubaldi che qui conduce assidue ricerche e che pubblica vari contributi scientifici, soprattutto di carattere vegetazionale, ma anche floristico, e articoli divulgativi (Ubaldi, 1974, 1978, 1983, 1984, 1988, 1988a, 1994, 1995, 2000; Ubaldi e Puppi, 89; Ubaldi e Speranza 1982, 1985; Ubaldi et al, 1982, 1985, 1987).

Ricerche importanti e sistematiche con il rilevamento di abbondanti dati distributivi ed ecologici (in gran parte ancora inediti) e raccolta di molti campioni sono state condotte da botanici del Centro Ricerche Floristiche Marche di Pesaro e dell'Università di Ancona. Fra i contributi relativi a questi territori vanno ricordati quelli di Allegrezza et al.(1994) (relativo a vegetazione e flora dei calanchi e in cui vengono citate varie specie estremamente rare) e di Biondi e Baldoni (1988 e 1994).

Per quanto riguarda i Monti del Furlo, è stato recentemente pubblicato un lavoro sulla flora della parte sommitale del M. Paganuccio, in cui sono riportate 580 entità (Angiolini et al., 2000). Numerosissime informazioni di carattere corologico ed ecologico sulla nostra flora si trovano disperse in numerose pubblicazioni divulgative. Fra i tanti autori di questi opere più o meno valide e approfondite, merita di essere menzionato Poggiani (1986 e 1987), artefice di alcuni pubblicazioni di carattere divulgativo riguardanti aspetti naturalistici dei dintorni di Fano e Pesaro, ma soprattutto (1985) di un utile manuale per il riconoscimento degli alberi e arbusti del Bacino del Metauro. Si può ancora ricordare l'articolo divulgativo di Gubellini (1990) relativo alla Flora dei Monti del Furlo. Per finire numerosi dati possono essere utilmente reperiti nei tanti lavori citati in bibliografia.

Origine della Flora
All'inizio del Miocene si formarono i primi abbozzi dell'Appennino Umbro-Marchigiano che si delineò sempre più chiaramente durante il Miocene medio e superiore. Nel Messiniano (Miocene superiore, circa sette milioni d'anni fa) avvenne la cosiddetta "crisi climatica perimediterranea" durante la quale le acque del Mediterraneo raggiunsero un'elevatissima salinità, il loro livello diminuì fortemente e l'emersione di vaste aree prima sommerse causò la frammentazione di questo mare in vari bacini. Le nuove terre emerse furono rapidamente invase da numerose specie animali e vegetali e consentirono imponenti migrazioni fra regioni, prima di allora, separate dal mare. In Italia si trovavano specie tropicali e subtropicali (Palme, e specie appartenenti ai generi Ficus, Artocarpus, Cinnamomum, Laurus, ecc.) e numerose caducifoglie (dei generi Alnus, Betula, Carpinus, Salix, Juglans, Quercus, Acer, Platanus, ecc.). La flora mostra affinità con quell'attuale dell'America Settentrionale, dove a differenza di quanto accadrà in Europa con le glaciazioni, la particolare morfologia con corrugamenti disposti lungo il senso dei meridiani, ha permesso, al variare delle condizioni climatiche, l'agevole migrazione e salvezza di monte specie (Principi, 1942).

Per dare un'idea della ricchissima flora che viveva nella nostra regione durante il Miocene, basti considerare che per la flora fossile ritrovata nei gessi del Senigalliese (risalenti al Messiniano) Massalongo e Scarabelli (1959) riportano oltre 300 specie: tra esse Woodwardia, molte Conifere (specie appartenenti ai generi Taxodium, Sequoia, Glyptostrobus, Libocedrus, Podocarpus, ecc.), Ginkgo biloba (attualmente vivente allo stato spontaneo solo in Cina), numerose specie del genere Quercus, e Fagus, inoltre Castanea, Morus, Artocarpus, Liquidambar, Populus, Laurus, Sterculia, Hydrangea, Magnolia, Liriodendron, Cassia, Acacia, e molte altre. La flora dei gessi dell'Anconetano, costituita da 120 specie, è simile alla precedente (Principi, l. c.).

Durante il Pliocene si trovavano in Italia specie di clima tropicale, subtropicale, temperato e freddo. Tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore, i vasti boschi di latifoglie vennero via via impoverendosi di elementi terziari e si alternarono ad aree di vegetazione steppica in cui predominavano Pini, Artemisia, Chenopodiacee, Caryophyllacee, Ephedra e specie mediterranee come il Carrubo (Ceratonia), Leccio, Olea, Phillyrea, Pistacia, Cisti e Myrtus.

Tra il Pliocene e il Quaternario riprese massicciamente una vivace attività orogenetica che portò l'Italia ad assumere all'incirca l'aspetto attuale. La flora del Quaternario dei travertini d'Acquasanta comprende in maggioranza specie ancora presenti nello stesso territorio, fra esse Pteridium aquilinum, Taxus baccata, Juniperus communis, Pinus halepensis, Abies alba, Lolium perenne, Tamus communis, Alnus glutinosa, Populus alba e molte altre (Principi, 1938). Interessante è la presenza di Castanea sativa e Juglans regia, la prima delle quali, largamente introdotta e favorita dall'uomo, attraverso i secoli, non è chiaro se e per quali parti della regione è, al momento attuale, da ritenersi indigena. La seconda è attualmente presente in Italia solo come specie coltivata e spontaneizzata.

Mentre nel Terziario il clima si era mantenuto relativamente caldo e le oscillazioni erano state di ampiezza limitata, già dal Pliocene si manifestarono delle fasi fredde finché col Quaternario si succedettero vari periodi di intenso raffreddamento, le glaciazioni (le principali delle quali furono quattro e denominate Günz, Mindel, Riss e Würm), intercalate dalle fasi relativamente temperate degli interglaciali. Durante le glaciazioni vi fu un generale avanzamento dei ghiacciai che durante la fase più fredda (Riss) coprivano interamente l'Europa settentrionale e si spingevano fino all'Europa centrale. Tali fenomeni furono imponenti anche sulle Alpi mentre negli Appennini settentrionali e centrali furono di assai più modesta portata. All'avanzata dei ghiacci si verificò un generale arretramento della flora verso Sud, soprattutto degli elementi di clima subtropicale e temperato. Intanto in prossimità dei ghiacciai e sui rilievi rimasti sgombri si diffuse una vegetazione del tipo della tundra artica mentre più a Sud, nelle regioni più calde, andava imponendosi una foresta decidua di tipo temperato. L'isolamento genetico protratto per lunghissimo tempo favorì la formazione di entità nuove, diverse da quelle da cui erano rimaste separate. Risale a questo periodo la nascita delle specie artico-alpine, delle specie cioè ugualmente presenti nell'estremo Nord dell'Europa e nelle vette maggiori delle montagne sudeuropee. Durante gli interglaciali, ad ogni temporaneo miglioramento climatico, vi fu un ritorno verso Nord e verso la parte sommitale dei monti delle specie di tipo temperato e subtropicale. Tuttavia specie appartenenti ai generi Tsuga, Cedrus, Thuja, Juglans, Magnolia, Zelkova, Rhododendron ponticum, Ficus, ecc., scomparvero quasi tutte dall'Italia con gli ultimi periodi freddi. Intanto nelle parti più calde prosperavano boschi mesoigrofili con Laurus, Hedera, Buxus, Ilex, Taxus, Rhamnus, Cornus, Ligustrum, Vitis, Fraxinus, costituenti il cosiddetto Lauretum. Gli stessi generi che attualmente comprendono alcune delle specie forestali dominanti delle nostre foreste, cioè Fagus, Picea, Abies e Quercus che erano rappresentate da più o meno numerose specie, uscirono fortemente decimati dalle glaciazioni. Pertanto la flora attuale risulta, almeno limitatamente alle specie arboree, estremamente impoverita rispetto alla ricca e varia flora miocenica. Gli esami dei pollini rivelano inoltre che nell'Italia Centrale durante il passaggio dagli interglaciale ai glaciali avvenne un rapido cambiamento nella struttura della vegetazione e si passò da tipi di vegetazione pluristratificata a comunità prevalentemente erbacee. In definitiva furono queste ultime, e non le formazioni boschive, a prevalere nel tempo e caratterizzare la vegetazione del Quaternario (Follieri e Magri, 1998)

Nel periodo che succedette alla glaciazione di Würm fino a circa 7.500 anni fa il clima fu essenzialmente di tipo continentale. Nelle fasi più fredde prevaleva una vegetazione di tundra con Betulla, Pino silvestre, molti Salici e Artemisia. Nelle fasi successive, più miti, accanto alla Betulla e al Pino silvestre comparivano Noccioli, Ontani, Abete rosso, Pino nero, Pino mugo, Querce, Tigli e Olmi. Alla fine di questo periodo il clima è dapprima nettamente continentale e più mite dell'attuale e le Querce raggiunsero il massimo della loro diffusione giungendo fino al crinale dell'Appennino a contatto con la vegetazione del piano montano formata, fra le altre, da Abete rosso, Pino nero, Pino mugo, ecc. Successivamente il clima divenne di tipo oceanico e favorì un'eccezionale diffusione dell'Abete bianco e soprattutto del Faggio. I boschi costituiti da queste due specie colonizzarono ben presto le montagne sostituendosi ad ogni altra formazione arborea. Intanto l'Abete rosso, il Pino nero e il Pino mugo scompaiono dalla maggiori parte degli Appennini fin quasi all'estinzione, mentre le Querce continuavano a dominare incontrastate alle quote inferiori. Successivamente e fino ai giorni nostri, mentre il Faggio continua il suo dominio nel piano montano pur scomparendo nelle parti meno elevate durante i periodi più caldi, l'Abete bianco è in forte declino e scompare quasi ovunque dall'Appennino centrale e meridionale, anche a causa del forte sfruttamento da parte dell'uomo, e sopravvive, fortemente decimato, con poche depauperate e isolate popolazioni.










Ononis masquillierii.
Leonardo Gubellini